C’era una volta… a Hollywood
(Once Upon a Time in… Hollywood)
di Quentin Tarantino (USA, 2019)
con Brad Pitt, Leonardo DiCaprio, Margot Robbie,
Kurt Russell, Michael Madsen, Al Pacino, Emile Hirsch,
Timothy Olyphant, Dakota Fanning, Luke Perry, Bruce Dern,
Damian Lewis, Scoot McNairy, Mike Moh, Aundrea Smith, Nicholas Hammond,
Zoë Bell, Austin Butler, Julia Butters, Margaret Qualley, Lorenza Izzo,
Costa Ronin, Rachel Redleaf, Rafa? Zawierucha, Damon Herriman. Lena Dunham,
Madisen Beaty, Maya Hawke, Dreama Walker, Rumer Willis, Rebecca Rittenhouse
In giro, sul web, leggo parecchia delusione per questo film. Non è considerato di certo il migliore di Quentin Tarantino – per usare un’eufemismo. Ma perché? Ho l’impressione che ogni volta che un fan di Tarantino vada al cinema si aspetti di assistere ad un nuovo “Pulp Fiction”. Ovviamente non è così. Ma è il caso di essere profondamente delusi per questa nuova pellicola? A mio avviso no. Vi spiego perché.
Possiamo dire che la prima ora di questo lunghissimo cortometraggio (da 161 minuti) non brilla per dinamismo – non è proprio il caso di definirla “lenta” – in quanto funge da introduzione al cuore della vicenda raccontata. Un attore sulla quarantina, belloccio e pieno di sé – tale Rick Dalton – nota star che ha guadagnato parecchia visibilità grazie alla parte da protagonista in una serie tv western di successo, inizia ad avere la sensazione di aver intrapreso la fase discendente della sua carriera quando un quotato produttore di Hollywood, tale Marvin Schwarz, gli propone di sfruttare la sua popolarità per andare in Italia a girare alcuni spaghetti western. Lì per lì Dalton non accetta, decide di prendere tempo, sconfortato dal discorso che gli ha fatto Schwarz, ma prende a riflettere pesantemente su qualcosa a cui non aveva mai pensato, essendo stato sino ad allora troppo preso dal culto di sé. Per fortuna ha una spalla su cui piangere: Cliff Booth, la sua controfigura, uno stuntman cazzutissimo e molto affascinante, che da oltre 10 anni lo segue ovunque come l’ombra, facendogli da autista e assistente personale, nell’attesa di ritornare a lavorare come cascatore su qualche set. L’ambiente infatti gli è ostile da quando ha ucciso sua moglie (accidentalmente?) riuscendo a scampare il carcere. Nel mentre Dalton si accinge a girare un altro western, ancora una volta nella parte del cattivo senza scrupoli, il villain a cui gli spettatori – pare – fanno difficoltà ad affezionarsi. La performance su questo set è talmente valida che l’attore riprende coraggio e decide di sfruttare l’occasione offertagli da Schwarz, dunque vola in Italia e gira ben 4 film. Tornerà solo 6 mesi dopo in compagnia della moglie e dell’inseparabile Cliff. Una volta rimesso piede a Hollywood, però, il sodalizio professionale tra i due finisce: Rick congeda Cliff ma i due rimangono amici.
C’è anche da dire che Dalton, prima dell’esperienza italiana, si sente ancora un paria ad Hollywood; sulla collina degli attori prende una villa confinante con quella di Sharon Tate e Roman Polanski ma ha evidentemente qualche difficolta ad integrarsi nello star system. In altre parole gli piacerebbe tanto accedere al gotha di quel mondo, magari partecipando a qualche festa in piscina in una di quelle mansion da sogno, giusto per prendere confidenza con qualche pezzo grosso, qualcuno che conta davvero e, perché no, prendere al volo qualche opportunità lavorativa.
Le vite di Rick, Cliff e Sharon si incroceranno rocambolescamente la sera dell’8 agosto 1969, ossia quella in cui alcuni membri della Manson family decideranno di assaltare la villa in cui viveva quest’ultima.
Possiamo affermare che Tarantino racconta la Hollywood della fine degli anni ’60? Non proprio. Molti aspetti dello showbiz cinematografico di quegli anni vengono raccontati in modo più o meno diretto, ma la città rimane abbastanza sullo sfondo. Vediamo il personaggio di Cliff sfrecciare per quelle strade su una deliziosa decapottabile, eppure la città non assurge mai al ruolo di protagonista. Mi sembra invece che il regista voglia mettere in primo piano la curva parabolica che percorrono gli attori famosi, le stramberie di quell’ambiente, i rapporti tra i professionisti del settore, e parallelamente intrecciare questo racconto con la storia di una bella e salda amicizia, che inconsuetamente lega un uomo ricco e di successo a quella che potremmo definire una semplice maestranza, un operaio del cinema. La vicenda dell’assalto dei sodali di Manson alla villa dei ricconi, invece, mi è apparsa come una trovata scenicamente molto vivace – e validissima – per arricchire di azione una pellicola che altrimenti sarebbe rimasta molto “statica”, piena di pathos sentimentale ma scevra di dinamismo, benché Tarantino imbottisca di flashback e “momenti memoria” tutto l’arco narrativo del film. La scena finale inoltre è un omaggio al cinema pulp che tanti fan vanno cercando nelle opere tarantiniane. Pulp o splatter, se vogliamo essere più precisi: una specie di parentesi horror-sanguigna molto “action-oriented”. L’altra scena divertentissima e molto WOW, in cui volano cazzotti e persone, è quella della sfida a pugni chiusi tra il personaggio di Cliff e Bruce Lee, proprio nel backstage di un set, in una pausa tra una scena e l’altra.
Dunque è qui che troviamo la firma di Tarantino: nella costruzione narrativa e nelle scelte registiche, che appunto ondeggiano tra il western all’italiana e l’horror più classico nel citazionismo cinematografico, nell’indugiare sui piedi di donna. Plausi scroscianti anche per il casting, che è ricchissimo all’inverosimile, oltre che pienamente azzeccato, a partire dal duo di protagonisti, anche se un dubbio (minuscolo) mi è rimasto: dal punto di vista meramente anatomico Pitt e DiCaprio sono davvero così simili? Sono credibili come l’uno controfigura dell’altro?
Leonardo DiCaprio recita sempre meglio. Sarà possibile una continua crescita nelle doti recitative? Oh, eppure così appare ai miei occhi. Ha solo 45 anni. Dove riuscirà ad arrivare? Ad ogni pellicola è sempre più bravo. Certo, le scene in cui lo vediamo piangere sono parecchio grottesche – e perciò buffe – ma quelle in cui il personaggio di Dick si trova a fare il suo mestiere sul set sono pressoché perfette. I fantasmi e i dubbi che offuscano la mente dell’attorone – che nei film che gira è invece l’antieroe supermacho – sono rappresentati al meglio grazie all’esperienza che DiCaprio ha. Tarantino ha scelto un top player e l’ha messo a fare un top player. Sembra una scelta facile ma non lo è.
Ok, Brad Pitt è un bell’uomo – è sempre stato un bell’uomo – ma quant’è simpatico, anche? Qui lo dimostra in modo palese. Per tutta la durata del film mantiene sulla faccia un’espressione beffarda e sorniona che fa incredibilmente simpatia. È assurdo pensarlo e scriverlo ma sicuramente risulta il personaggio più positivo del film, nonostante sia uno che mena le mani e che abbia all’attivo un omicidio. Cliff è un amico superfedele per Dick, un angelo protettore; i due scorrazzano insieme nella lussuosa auto di Dick, sono compagni di bevute, si danno di gomito, sanno come godersela, ma Cliff è sempre un passo indietro, è sempre lucido, sa quanto e come essere amico di Dick ma senza strafare, dimostra di essere coscienzioso, previdente, affidabile e di saper stare al proprio posto.
Siamo tutti d’accordo sul fatto che Margot Robbie sia la Dea della bellezza? Ok, aggiungiamoci che in questo film dimostra di essere perfetta per il ruolo di Sharon Tate, la somiglianza tra le due è davvero tanta. Tarantino sceglie di mostrarcela dolce e timida, mentre trascorre un pomeriggio al cinema a guardare “The Wrecking Crew”, un film di cui è co-protagonista, insieme a Dean Martin. In un’altra scena la vediamo invece ballare divertita, non lontana da Roman Polanski e dal suo ex Jay Sebring, durante una festa nella Playboy Mansion West di Hugh Hefner.
L’hairstylist Jay Sebring è interpretato del bravo Emile Hirsch, mentre Polanski ha il volto di Rafa? Zawierucha.
Il talentuoso Damian Lewis lo vediamo in una sola scena mentre interpreta Steve McQueen che racconta la cronistoria del successo di Sharon Tate e dei suoi rapporti personali con gli uomini che la circondano.
Al Pacino appare all’inizio del film nei panni di Marvin Schwarz, un anziano e affettatissimo produttore di Hollywood, che porta a colazione Rick Dalton per offrigli l’opportunità di recitare negli spaghetti western, non prima di avergli spiegato quando sia effimero il suo successo, quanto ormai non sia più un giovane attore e perché non gli conviene continuare a recitare la parte dell’antagonista odioso in western di serie B.
Kurt Russell interpreta un vecchio stuntman – ormai promosso a reclutatore di stuntman – che ingaggia controvoglia Cliff, solo per fare un favore a Dick.
Julia Butters è Trudi Fraser, la giovanissima e irreprensibile attrice che stringe amicizia con Dick e gli fa tornare l’orgoglio di essere un bravo attore. Sbalorditivamente brava nell’oscillare tra la professionalità dell’attrice navigata e la dolcezza di una bambina di fronte ad una star del cinema. Ed ha solo 10 anni!
Bruce Dern interpreta un’ex stuntman, ormai anzianissimo, cieco e incazzoso, che dorme tutto il giorno e che, raggirato dall’amore per una giovane hippie, si è fatto squattare la proprietà – lo Spahn Ranch – dalla comunità che fa capo a Charles Manson.
Ruolo sexy per la bella Margaret Qualley, qui nei panni di una giovanissima e poco scaltra hippie, detta “Pussycat”, che cerca di sedurre Cliff e, pur non riuscendoci, lo porta nella pericolosa tenuta in cui soggiorna la comunità di Charles Manson.
Luke Perry appare per pochi minuti come Wayne Maunder, un attore che nel western che sta girando Dalton ha il ruolo di un ricco cowboy cui hanno rapito la giovane sorella e che per questa ragione deve sottostare a un lucroso ricatto.
Ad Austin Butler è andata la parte di Charles “Tex” Watson, uno dei giovani e fulminati attentatori di Sharon Tate.
Mike Moh è incredibilmente simile a Bruce Lee; molto diverernte nella scena in cui fa lo sbruffone con un lungo monologo autocelebrativo, prima di battersi con Cliff.
Dakota Fanning è Lynette “Squeaky” Fromme, uno dei pericolossisimi membri della setta di Manson. La scena in cui appare – un dialogo a due con Cliff – è forse quella con la maggiore tensione di tutta la pellicola. Semplicemente brava.
Nicholas Hammond ha il ruolo del regista Sam Wanamaker.
Lorenza Izzo è Francesca Capucci, la moglie italiana di Rick Dalton.
Damon Herriman dà il volto al “capellone” Charles Manson. Lo vediamo però in una sola breve scena, mentre va a bussare alla porta della villa di Sharon Tate.
Anche per il grande Scoot McNairy c’è solo un piccolo cammeo in questo film: lo vediamo interpretare un pistolero del west.
Stessa cosa dicasi per Michael Madsen: il suo vecchio amico Tarantino gli ha dato pochi minuti di gloria nelle vesti di un duro cowboy.
La bellissima Rebecca Rittenhouse intepreta l’attrice Michelle Phillips, amica di Sharon Tate. Le vediamo ballare insieme nella maxi festa organizzata nella Plaboy Mansion.
Per Maya Hawke – la figlia di Ethan Hawke e Uma Thurman – una piccola parte: l’attentatrice di Sharon Tate che se la dà a gambe l’ultimo minuto, Linda Kasabian. Sì, questo è un piccolo spoiler ma perdonatemelo.
La scheda di IMDb.com, quella di Wikipedia, quella di Cinematografo.it e quella di MyMovies.it.