Joker

Joker
di Todd Phillips (Usa, 2019)
con Joaquin Phoenix, Robert De Niro,
Frances Conroy, Zazie Beetz, Bill Camp, Brett Cullen,
Marc Maron, Shea Whigham, Josh Pais, Douglas Hodge, Leigh Gill,
Dante Pereira-Olson, Brian Tyree Henry, Carrie Louise Putrello

Se non è un capolavoro, poco ci manca.
Dimenticate per un attimo che Joker è uno degli antagonisti di Batman, un personaggio dei fumetti della DC Comics. Questa pellicola potrebbe essere benissimo una storia di disagio e malattia mentale. Anzi lo è, a tutti gli effetti. Di sovrannaturale c’è poco o nulla. Il fantasy non è pervenuto.
Joker racconta del percorso che ha portato Arthur Fleck a impazzire del tutto e diventare un pericoloso criminale di Gotham City. La follia è al centro del discorso di questo film. La vera protagonista che accompagna lo spettatore dal primo all’ultimo fotogramma. Sullo sfondo si muove la città, questa Gotham City sporchissima, piena di immondizia e degrado morale. In piena crisi sanitaria e di valori, dove le strade sono inondate di spazzatura, mentre la politica è corrotta e falsa, senza nessun pudore. Come dire una versione di New York ancor più decadente cui non si fa fatica a credere.
Arthur Fleck è un uomo fra i 30 e i 40 anni che vive con la madre (molto malata) in una topaia e si guadagna da vivere facendo il clown a domicilio per un’agenzia. Ha gravi problemi psichiatrici, tanto da essere costretto a prendere ben 7 diversi psico-farmaci da quando è uscito da un ospedale per matti in cui è stato a lungo rinchiuso. Le cose non gli vanno bene, è sempre giù di morale, depresso e con istinti suicidi, ha frequenti e scomposti attacchi di risata isterica, tuttavia riesce a sopravvivere grazie ad alcuni lavoretti umilianti e a dei noiosi incontri settimanali con una psicologa impiegata in un centro sanitario pubblico. La sua passione è la comicità: un giorno vorrebbe riuscire a diventare famoso facendo lo stand-up comedian. Il celebre anchorman Murray Franklin, che segue ogni sera in tv, è il suo vero idolo. Ad un tratto però le cose iniziano a peggiorare: Arhtur entra in un vortice di sfortuna da cui avrà grosse difficoltà ad emergere. Viene picchiato da un gruppo di teppisti mentre fa il testimonial davanti a un negozio e un amico, per spingerlo a difendersi, gli presta una rivoltella – senza che lui neanche l’abbia chiesta – ma la gestione maldestra di quest’arma gli causerà la perdita del lavoro. Inoltre il programma di servizi sanitari che finanzia le sue sedute psichiatriche chiude e sua madre gli rivela indirettamente, senza volerlo, che suo padre è Thomas Wayne, l’uomo più ricco della città. Il suo primo atto di protesta verso il mondo che gli rema contro e lo schiacchia non sarà programmato ma finirà per essere violentissimo, truculento e così scioccante da portare tantissimi cittadini a dar vita a uno spontaneo movimento di ribellione. Un movimento di cittadini indignati – o meglio incazzati neri con la ricca borghesia – che prenderà come simbolo proprio la maschera da clown.

Il film è davvero una specie di one man show. Tutto si regge sulle spalle di Joaquin Phoenix, un attore bravissimo, unico, che dimostra ancora una volta di essere un fuoriclasse. Gli altri attori sono solo comprimari, piccole comparse che punteggiano il proscenio, funzionali a raccontare la discesa agli inferi di Arthur Fleck.
Tra questi, quello che ha maggior peso è Murray Franklin, inscenato da Robert De Niro. Un’interpretazione notevole che sottolinea l’ipocrisia della tv attraverso il carisma catodico di un anziano uomo di spettacolo.
Zazie Beetz è Sophie Dumond, una giovane ragazza-madre che abita nello stesso palazzo di Arthur e che diventa con soli pochi sguardi il “love interest” del protagonista.
Per Frances Conroy la parte di Penny Fleck, la mamma anziana del protagonista: una donna malata, schiava di alcune ossessioni, che non esce più di casa e che fa affidamento al 100% sul suo unico figlio.
Il corpulento Glenn Fleshler è Randal, uno dei colleghi clown di Arthur.
Leigh Gill è invece un altro dipendente della stessa agenzia di clown, diretta da Hoyt Vaughn (personaggio senza scrupoli intepretato da Josh Pais).
L’opacissima figura di Thomas Wayne è interpretata dall’altissimo Brett Cullen.
Shea Whigham è il Detective Burke, ossia uno dei due poliziotti che indagano sul triplice delitto della metropolitana. Bill Camp è invece il Detective Garrity, l’altro piedipiatti.
Douglas Hodge ha una sola scena nei panni di Alfred, lo storico maggiordomo di casa Wayne.
Per Brian Tyree Henry un cammeo nei panni di un impiegato dell’ospedale psichiatrico in cui fu rinchiusa la mamma del protagonista.

Altri dettagli tutt’altro che trascurabili.
Il film è ambientato tra la fine degli anni ’70 e i primi anni ’80. Lo si capisce dall’arredamento del minuscolo appartamento in cui vive il protagonista ma soprattutto dalla scenografia dello studio in cui si tiene il programma di Murray Franklin. Quelle luci, quelle telecamere, quelle poltrone, quelle tendine, quelle pareti: tutto dice anni ’70.
In Joker Joaquin Phoenix è magrissimo, scheletrico, quando è torso nudo le costole fanno capolino da sotto la pelle. Roba da impressionarsi. Avrà perso una trentina di chili per intepretare quest’anima nera di Gotham City. Bisogna tener conto anche di questo quando si va a valutare il lavoro di un attore. Ma non solo: bisogna tener presente anche tutto il lavoro sulla risata, ossia dover imparare a ridere in maniera scomposta, forte, con tono alto e stridente, a tirar fuori dalla bocca un suono che faccia accapponare la pelle. E beh, Phoenix ci è riuscito perfettamente. Basta dare un’occhiata al trailer per capirlo subito.
Dicevamo che al centro di tutto c’è la follia, l’analisi di come una mente già debole possa essere portata all’esasperazione, alla follia più incotentenibile, da una società alienata, profondamente persa e incattivita. Una società che premia i ricchi, i più fortunati, e abbandona gli ultimi, non sono i poveri ma anche le persone malate, che hanno bisogno di cure e di assistenza (non solo medica). Ed è proprio qui che emerge l’altro aspetto di “Joker” il film ha anche un taglio politico, di attacco alla società contemporanea. Lo si intravede nella critica al welfare state, ai tagli ai servizi sociali fatti dalla città di Gotham City in maniera del tutto ingiustificata e sbagliata, quei tagli che portano alla chiusura del centro in cui il protagonista si reca ogni settimana per cercare qualcuno con cui parlare dei fantasmi che affollano la sua mente.
Nel rapporto di amore-odio tra Arthur e e il divo tv Murray Franklin ci ho visto degli echi del film “Re per una notte” di Martin Scorsese, in cui recitava proprio Robert De Niro. In quel caso De Niro era lo spettatore con ambizioni da showman, mentre l’anchorman era magnificamente interpretato da Jerry Lewis.
Lodi sperticate a Lawrence Sher e alla sua fotografia; il turchese scuro e il giallo ocra sono pressoché onnipresenti, soprattuto nelle scene più cupe, cioè quelle in cui emergono i pensieri nefasti del protagonista o quelle in cui la città fa sentire la sua presenza attraverso le luci.
Io sono solitamente uno spettatore distratto, alla colonna sonora faccio poca attenzione, tranne rari casi. Per Joker c’è stata proprio una eccezione. Ho trovato molto interessante il commento sonoro composto da Hildur Guðnadóttir, decisamente appropriato alle scene cui si accompagnava. Buona la scelta anche di alcuni brani “extra”, a partire da “That’s life” che fa capolino in un paio di frangenti, fino a “Send in the clowns” cantata da Frank Sinatra, “Slap that Bass” di Fred Astaire e “Sunshine of Your Love” dei Cream.
Il regista – Todd Phillips – è lo stesso della trilogia de “Una notte da leoni”, “Parto col folle”, del film “Starsky & Hutch” del 2000. Può stupire alcuni – ha stupito anche me – ma bisogna ammettere che questo tizio ha talento. Mi pare sia riuscito a costruire il miglior film, ad oggi, tra tutti quelli ispirati ad un fumetto. O sbaglio?

Questo film ha vinto il Leone d’oro all’edizione 2019 della Mostra del Cinema di Venezia.
Nota 1: tra i finanziatori del film, oltre lo stesso regista, c’è anche Bradley Cooper.
Nota 2: per una volta la locandina italiana è pressoché identica a quella americana.

La scheda di IMDb.com, quella di Wikipedia, quella di Cinematografo.it e quella di MyMovies.it.