5 è il numero perfetto

5 è il numero perfetto
di Igort (Italia, 2019)
con Toni Servillo, Carlo Buccirosso, Valeria Golino,
Lorenzo Lancellotti, Iaia Forte, Gigio Morra, Mimmo Borrelli,
Nello Mascia, Angelo Curti, Emanuele Valenti

Film noir tratto dall’omonima graphic novel (che non ho mai letto). Non so se è il caso di usare anche l’aggettivo “hard boiled”, comunque si tratta di una pellicola molto fumosa sulla malavita napoletana, diretta dallo stesso autore del fumetto (sarò sgarbato nel definirlo così?)
Di Igort non sapevo nulla fino a poche settimane fa. Anche adesso ignoro la sua identità e il suo lavoro. Passiamo dunque all’opera, cioè al film: si tratta della storia degli ultimi giorni di attività criminale di Peppino Lo Cicero, un vecchio guappo ormai in pensione, che riprende in mano le sue armi per farsi vendetta, dopo l’uccisione del suo unico figlio, Nino – anch’egli killer come il padre, affiliato alla stessa famiglia camorristica. Per riuscire nell’impresa di fare la pelle all’assassino di suo figlio, Peppino chiama un vecchio sodale, tale Totò ‘O Macellaio: un altro killer esperto che considera quasi un fratello. I due cercano di venire a capo della vicenda ma si mettono immediatamente nei guai, facendo la pelle al boss della stessa famiglia cui appartiene Lo Cicero. Tra le altre cose, proprio in questo difficilissimo frangente della vita di Lo Cicero, riappare – quasi magicamente – anche Rita, una vecchia fiamma di Peppino, che Totò chiama “la maestrina”. Più precisamente Rita è l’amante sedotta e abbandonata, in quanto il protagonista non ha mai voluto abbandonare sua moglie, cui si è sempre detto devoto.

Pellicola godibile, anche se in alcuni frangenti può apparire scontata, fumosa e surreale. Scontata perché la vendetta di un malavitoso è raccontata in maniera alquanto tradizionale, senza particoli colpi di scena, dettagli originali o novità, fumosa perché alcune apparizioni non vengono spiegate adeguatamente – vedi la figura di Rita o la crescita professionale di Nino – e surreale perché i personaggi in certi casi non si comportano come ci si aspetta, andando decisamente sopra le righe – cfr. la scena in cui il saggio e riflessivo Lo Cicero si mette a scimmiottare una sparatoria con le dita puntate come pistole, come se fosse un bambino sovreccitato.
Dettaglio buffo: il naso grosso e adunco del protagonista. Nel film è stato ricreato alla perfezione – con una protesi – sulla faccia di Servillo, in modo da essere estremamente fedele a quello presente sulla faccia del protagonista della graphic novel.
Dettaglio negativo: il modo in cui Peppino e Totò stringono le pistole e si spalleggiano durante le sparatorie ricorda tantissimo i pulp movie americani – alla Tarantino per intenderci – qualcosa che stona davvero parecchio, visto che si tratta di due anziani assassini napoletani e che la storia è ambientata negli anni ’70.
Servillo fa il Servillo? Certo che sì, ancora una volta, come sempre. Ma non sfigura nei panni dell’anziano guappo napoletano. Almeno questa volta il dialetto è suo, lo conosce benissimo. Sono soprattutto i silenzi ad essere adeguati al personaggio, i silenzi tipici di Servillo, gli sguardi sornioni che vorrebbero dire mille parole, di adattano perfettamente al personaggio di Lo Cicero, che è un anziano riflessivo, con molta esperienza, consumato dalla vita, saggio e riflessivo, che torna a sentirsi vivo, torna a sentire scorrere in corpo il sangue e il desiderio di vendetta solo di fronte alla disperazione di aver perso l’unico figlio.
Buona prova anche per Buccirosso – anche se non è la sua migliore. Qui la sua straordinaria verve comica è tenuta chiusa sotto chiave. Interpreta Totò il gregario, un buon vecchio guappo che in questo caso si mette agli ordini – seppur con mille riserve – di un vecchio amico che ha bisogno di aiuto.
Valeria Golino in parte. Qui interpreta una bella donna di mezza età, innamorata e preoccupata per le sorti dell’amato. Il suo personaggio va incontro ad una metamorfosi: da donnetta impaurita del mondo si trova a dover prendere le armi in mano e a sparare, a dover uccidere suo malgrado per difendere chi le sta a cuore. Ecco, questo cambio di personalità, questa specie di maturazione criminale non è – a mio avviso sottolineata a dovere dal racconto. In altre parole questa figura non è illustrata dettagliatamente sotto il profilo psicologico: sbuca dal nulla, parla poco, non si presenta bene a chi guarda, viene delineata solo poco e dagli altri attanti, poi fa qualcosa di grande, di grosso, di forte, ma non sembra cambiare granché, dunque torna sullo sfondo, a bisbigliare qualche parola. Chi era prima? Non si sa. Quali sensazioni le ha dato la trasformazione? Non è dato conoscerlo.
Mi è piaciuta molto anche a recitazione di Lorenzo Lancellotti nei panni di Nino, il figlio di Peppino. Bravissimo nel rendere l’idea di un giovane killer, serio ma ancora pieno di paure. Quel sottile baffetto da gagà che spunta sul suo labbro superiore stà li a indicare il cambio generazionale, la distanza tra padre e figlio, i due modi di intendere la carriera criminale e la vita in generale.
Il canuto Nello Mascia – già adocchiato nella soap “Un posto al sole” – qui interpreta il dottore che cura la ferita da arma da fuoco nel torace di Totò.
Un cammeo per Gigio Morra nelle vesti dell’anziano e rugosissimo Don Lava, ossia il padrino della famiglia nemica.
Iaia Forte, invece, appare solo per pochissimi secondi all’inizio della pellicola nei panni della Madonna.

Molto belle le location: azzeccatissime ed evocative. Raccontano una Napoli “sotterranea” che nasconde molti misteri.
Le musiche, notevoli e appropriate, sono state composte da D-Ross e Startuffo.

La scheda sul sito ufficiale, quella di Wikipedia, quella di Cinematografo.it e quella di MyMovies.it.