Mission: Impossible
di Brian De Palma (USA, 1996)
con Tom Cruise, Emmanuelle Béart, Jon Voight,
Ving Rhames, Kristin Scott Thomas, Jean Reno,
Vanessa Redgrave, Henry Czerny, Rolf Saxon,
Emilio Estevez, Dale Dye, Ingeborga Dapkunaite,
Rolf Saxon, Karel Dobrý, Richard D. Sharp
Non so perché io abbia atteso circa 22 anni per vedere questo film. Forse temevo di rimanere deluso, tanto ero fan della serie tv da cui è stato tratto. Anzi, ero e sono ancora convinto che quello trasmesso negli anni ’90 in Italia con il titolo di “Il ritorno di Missione Impossibile” fosse un gran bel telefilm. La serie originale degli anni ’60/’70 non lo ho mai vista – purtroppo.
Ma dove ha origine questa delusione? Beh, nel fatto che la pellicola è un classico spy movie, ibridato con un action movie. Niente più, niente meno. Certo, ha un approccio molto hi-tech per l’epoca; forse nel 1996 “Mission: Impossible” ha inaugurato un nuovo filone di film di spionaggio, un sottogenere molto futurista, ad alto budget e con super-cast, che poi ha dato origine a mille altre pellicole (come ad esempio la saga di Bourne), però sinceramente guardarlo ora, nel 2018, non è che mi abbia fatto particolarmente effetto. Anzi.
Al di là di questo, va detto che il problema vero è che qui s’è visto poco o nulla il tratto saliente delle storie targate “Missione impossibile”, ossia il reclutamento di agenti esperti (ciascuno nel proprio campo) per la realizzazione della missione. Nella prima missione Phelps (qui interpretato da Jon Voight) ci mette appena mezza giornata a preparare la missione e a istruire i suoi. A parte l’esperto di tecnologia e intrusioni nei sistemi informatici Jack Harmon (Emilio Estevez) e il protagonista Ethan Hunt (Tom Cruise), grande maestro di camuffamenti, gli altri tre agenti a sua disposizione non sembrano grandi esperti dello spionaggio. Una deve accogliere gli ospiti americani dell’ambasciatore (Sarah Davies/Kristin Scott Thomas), una deve limitarsi a guardare gli altri agenti dall’alto con degli occhiali speciali (Hannah Williams/Ingeborga Dapkunaite) e un’altra (Claire Phelps/Emmanuelle Béart) deve semplicemente attendere i compari in auto, pronta per la fuga. Bah.
Più avanti la super-spia protagonista si trova solo contro la CIA. Morto gran parte del suo team, deve affontare una sfida durissima: dimostrare di non essere la talpa nella sua organizzazione e allo stesso tempo tener testa ad un non ben identificato gruppo di malviventi che vorrebbe mettere le mani sulla lista di agenti sotto copertura della CIA. Anche qui, aiutato solo da Claire Phelps (unica superstite della missione precedente) recluta due ex agenti ormai sospesi da servizio, senza approfondire più di tanto le loro competenze o le loro credenziali. Il primo è un cristone nero super-hacker (Luther Stickell/Ving Rhames), il secondo è un cinquantenne francese con la barba, una specie di superladro insofferente e fastidiosetto. La loro missione – che si presenta apparentemente suicida – è penetrare nel cuore iper-protetto del quartier generale della CIA a Langley per rubare la segretissima lista. Eppure il prologo dell’intrusione da brividi si limita a qualche battutina tra i 4 su un treno. Dov’è la minuziosa preparazione del piano? Dove sono i sopralluoghi? Dov’è la descrizione dettagliata dei mezzi hi-tech (e non) da utilizzare? Non c’è. Hunt fa solo qualche accenno ai suoi compari; più che altro il regista ha preferito mostrare tutto durante la stessa esecuzione del piano. Questa scelta stilistica è comunque interessante perché ha fatto scuola. O comunque è rimasta nell’immaginario collettivo: chi non ricorda, infatti, la scena in cui Tom Cruise si cala dall’alto in una sala quasi asettica per hackerare un computer e, quando il cavo che lo regge cede, si ritrova fermo, sospeso a pochi cm dal pavimento su cui è montato un sofisticato sistema d’allarme? La ricordavo persino io, che mai prima di ieri avevo visto il film.
Due parole sugli attori.
Tom Cruise ha il physique du rôle per fare l’agente segreto? Forse sì, forse no. Se paragonato a uno Sean Connery o a un Pierce Brosnan dei bei tempi, ad esempio, sfigura di gran lunga. Mi sembra palese. Manca di eleganza e prestanza fisica. Però va detto che ha riscontrato un immenso successo di pubblico, tant’è che di questa serie cinematografica hanno girato ben 5 episodi (in circa 20 anni). Buon per lui.
Io mi sono un po’ stufato di vedere sempre Ving Rhames nella parte dell’energumeno che fa paura finché non mostra il suo lato umano. Sembra ormai un luogo comune ribaltato. Un tempo nei film i neri erano solo brutti e cattivi. Adesso sono sempre e solo le persone buone di cui potersi fidare cecamente. Scontatismo politically correct. La noia aleggia alta.
Kristin Scott Thomas recita solo nei primi 15 minuti della pellicola, peraltro in una parte secondaria, di supporto. Praticamente sprecata. Peccato.
Emmanuelle Béart dovrebbe essere la bonona della pellicola. Difatti il suo ruolo è quello della bella ragazza tentatrice: la giovane moglie del capo che è tanto così da sedurre il protagonista. Putroppo però regista e sceneggiatore non calcano tanto la mano, pur avendo dell’ottima materia prima a disposizione. La pellicola ovviamente ci perde sotto il profilo della sensualità. Altra occasione mancata.
Jean Reno fa il criminale malfidato, un po’esotico, duro e misterioso, difficile da gestire; un ruolo non del tutto negativo ma nemmeno positivissimo, diciamo che si inserisce nel solco inizialmente tracciato dal film “Leon”.
Buona prova per Jon Voight nei panni dell’anziano Jim Phelps (l’agente capo-squadra, nonché reclutatore e mente dei piani), anche se il grandissimo Peter Graves lo si rimpange sempre.
L’inglese Vanessa Redgrave fa la cattivona misteriosa, il capoccia di un’organizzazione potentissima e segretissima. Mah. Non mi sembra funzioni poi tanto. Non mette paura, non incute rispetto, non trasmette potere o alterigia, forse il casting avrebbe potuto scegliere un’altra signora al suo posto.
Nel ruolo dello smanettone esperto di informatica e sicurezza troviamo Emilio Estevez, uno dei tanti figli di Martin Sheen.
L’antagonista primario di Ethan Hunt, ossia Eugene Kittridge, è interpretato da Henry Czerny: buon volto per figurare come colletto bianco doppiogiochista.
Ingeborga Dapkunaite quasi ininfluente. Praticamente non pervenuta.
Perché vedere il film: se vi piacciono gli action movie e avete nostalgia degli anni ’90. Se vi piace Tom Cruise, se apprezzate quelle pellicole in cui Jean Reno fa un po’ lo stronzo. A suo modo – come dicevamo – è rimasta nell’immaginario.
Perché non vederlo: tradisce il senso della serie da cui è stato tratto. (Ormai) è un action movie come tanti.
La scheda di IMDb.com, quella di Wikipedia, quella di Cinematografo.it e quella di MyMovies.it.