Blade Runner 2049
di Denis Villeneuve (USA, 2017)
con Ryan Gosling, Harrison Ford, Robin Wright,
Jared Leto, Ana De Armas, Carla Juri, Mackenzie Davis,
Dave Bautista, Lennie James, Hiam Abbass,
Wood Harris, Edward James Olmos, Barkhad Abdi
Dunque, vediamo: questo film è il seguito del primo “Blade Runner”, le vicende sono ambientante trenta anni dopo.
Un nuovo e giovane Blade Runner – dai più indicato come “K” – si reca a casa di un vecchio androide-contadino per ritirarlo (cioè ucciderlo) e scopre qualcosa che nemmeno immaginava. Il drone di supporto alla sua vettura volante individua sotto un vecchissimo albero una cassa con dei resti. Una successiva e profonda analisi rivela che le ossa contenute nel baule sono di una donna-androide, morta mentre era incinta. Un androide partoriente? Assurdo! Non era previsto. Forse non era nemmeno immaginabile. La cosa crea sconcerto nella polizia, che infatti immediatamente ordina a K di scoprire chi fosse quella donna, chi fosse il padre, dove e come sia potuto succedere, ecc. Le indagini porteranno alla luce che un figlio androide effettivamente nacque ma fu nascosto. Ma perché?
Anche la Wallace Industries – l’azienda che ha acquisito la Tyrell Corporation – comunque viene a sapere della scoperta e, preoccupata che vengano a galla vecchie magagne, cerca di arrivare al figlio-androide prima di K. Anzi, sfrutta proprio le sue indagini in maniera parassitaria per arrivare per prima a scoprire come andarono le cose e usare quindi questi dati per mettere in piedi una nuova produzione di androidi in grado di riprodursi e popolare nuovi mondi.
Nel mentre accade che il droide poliziotto K inizi a dubitare della sua affidabilità, inizi a sentirsi meno macchina del solito, lo vediamo infatti provare dei sentimenti (o qualcosa di simile). Durante le indagini K si trova di fronte a un sacco di misteri e problemi. L’ostacolo più grosso da superare riguarda la sua identità e la sua memoria (strettamente correlate): non capisce più infatti se i suoi ricordi sono finti (come pensava) o se invece si tratta di immagini mentali di qualcosa che è avvenuto davvero sotto i suoi occhi.
Non dico altro per non svelare troppo. Già il trailer ci mostra un incontro molto importante, anzi un avvenimento chiave di tutta la vicenda.
Domanda delle mille pistole: è meglio questo “Blade Runner” o il primo? Secondo me si tratta di due campionati diversi. Quello del 1982 era tratto (più o meno) direttamente dal romanzo di Philip K. Dick. Questo no. Non mi sembra dunque il caso di paragonare le due pellicole. Questo è un buon sci-fi movie, quello era un capolavoro della cinematografia fantascientifica.
SPOILER DA QUI IN AVANTI
Ma andiamo alle domande che mi sono rimaste dopo la visione: dal primo film si era evinto che Rick Deckart era un replicante. Dunque il figlio di Deckart e Rachael dovrebbe essere un androide figlio di 2 androidi. Ma ne siamo proprio sicuri? In questo follow up, però, si lascia intendere che Deckart è in realtà un uomo. O sbaglio? A dire il vero, in “2049” Deckart lo vediamo invecchiato (di parecchi anni) e sappiamo che solo gli umani possono invecchiare, non gli androidi. Gli androidi – se non ricordo male – in questo universo hanno un ciclo di vita brevissimo (appena 4 anni). Invece questo bel poliziottone d’antan è arrivato a 70 anni e passa. Fosse stato un robottone, sarebbe già bello che schiattato da tempo, insomma. Non vi pare? Dunque qualcosa non torna.
E che fine fa il misterioso signor Wallace? Il cattivone sopravvive? Inoltre: sarà umano o androide? E che dire delle protesi in silicio per la vista esogena? Sono un indizio della sua androidicità? Mah. Mistero.
Se il contadino non è il padre del figlio-androide perché ne conservava gelosamente un calzino? Perché le ossa di Rachel erano finite sotto il suo albero? Altri buchi nella trama.
Siamo ancora in futuro distopico? Lo chiedo perché le sensazioni trasmesse dal primo “Blade Runner” erano molto più cupe, sinistre, angoscianti. Qui i riferimenti a quel mondo ci sono ancora, ma sono meno sottolineate, il futuro infelice è dato come se fosse qualcosa di scontato, di già assodato, dunque – a mio avviso – il regista ci si sofferma meno.
Tanti applausi per la fotografia di Roger Deakins: validissima in tutto film. Da sottolineare – a titolo di esempio – le battute inziali (quando K si reca nella tenuta dell’androide contadino) e la scena in cui K va nella mega casa in cui si nasconde Deckard.
Indiscutibile Harrison Ford. Potrebbe recitare in altri 20 Blade Runner e in altri 30 Indiana Jones, sarebbe sempre impeccabile. Il tempo passa ma lui resta sempre una colonna su cui fare affidamento.
Valida scelta per il protagonista: Ryan Gosling ha la faccia giusta. M’è sembrato un buon “erede” per Deckard. Non è il bellimbusto tutto muscoli – che forse qui era anche alquanto necessario – però ce la mette tutta e porta a casa un risultato notevole.
Jared Leto è perfetto come Mr. Niander Wallace. Se cercavano un semi-santone orientaleggiante, hanno fatto centro.
Per il ruolo di Luv, lo scagnozzo/replicante/braccio destro di Wallace, hanno scelto Sylvia Hoeks; non si è trattato di una cattiva performance interpretativa, ma credo che forse per questo ruolo sarebbe stato necessario optare per un viso più cattivo, più rude, meno affascinante. L’aspetto da “stronza in tailleur” fa pensare più all’assistente personale di un big manager, che a uno spaccaossa che va in giro a far fuori la gente.
Lasciatemi poi dire che Ana de Armas è davvero bellissima. Molto molto dolce. Intepreta Joi, la cyborg-compagna di K, una specie di mogliettina affettuosa che rinfranca il guerriero quando torna a casa. Potremmo dire che è un po’ una versione evoluta dell’assistente Siri di Apple, una macchina accondiscendente che si mostra agli occhi attraverso un sistema ologrammatico e che è in grado di fondersi con altri androidi. Avete presente la fusione tra i personaggi di Whoopi Goldberg e Demi Moore nel film “Ghost”? Beh, qualcosa di molto simile.
Quello di Robin Wright m’è sembrato un ruolo di secondo piano, comunque ben interpretato. Avevano bisogno di una bionda mascolina per interpretare il Tenente Joshi, un dirigente della polizia con la pelaccia dura, dunque hanno chiamato lei. Deve sicuramente aver acquistato un sacco di prestigio a Los Angeles, dopo aver intepretato la moglie di Frank Underwood nella serie tv “House of Cards”. Ricordiamo che si tratta della stessa attrice che nel 1999 interpretò “Le parole che non ti ho detto” al fianco di Kevin Costner.
Dave Bautista dà volto e corpo a Sapper Morton, ossia il vecchio e massiccio fattore robotico.
Sean Young la vediamo solo in un piccolo cammeo. Ha sempre il medesimo ruolo – ovviamente – ma appare nei panni della giovane Rachael, in pratica un ologramma.
Il ruolo di Ana Stelline – una giovane in quarantena perenne che si occupa di creare falsi ricordi per gli androidi – è stato affidato a Carla Juri.
La frizzante e simpaticissima Mackenzie Davis (già vista nella serie “Halt and Catch Fire”) si mostra in un paio di scene molto divertenti nei panni di una prostituta che fa parte della resistenza.
La scheda di IMDb.com, quella di Wikipedia, quella di Cinematografo.it e quella di MyMovies.it.