Alcune libertà sono minuscole ma estremamente importanti. Quasi non siamo coscienti che esistano, eppure quando iniziano a cadere, bisogna iniziare a preoccuparsi. Cadendo o riducendosi, queste micro-libertà diventano indicative di come stia cambiando l’approccio alla fruizione dei contenuti e delle informazioni. Questa lenta trasformazione è una spia di come l’utente stia diventando meno libero nel fruire e maneggiare i contenuti digitali in cui si imbatte (volontariamente o involontariamente).
Alcune app, come Snapchat e Instagram, mandano all’utente che ha creato un contenuto una segnalazione ogni qual volta un altro utente fa uno screenshot di quel contenuto. Un semplice screenshot. Perché se conservo un tuo dato – tu, creatore del dato – devi venire necessariamente a saperlo? Di solito con altri tipi di file questo non accade. Perché deve accadere con uno screenshot?
In casi come questi non c’è libertà di collezionare una informazione. L’utente non può gestire il contenuto che sta approcciando in maniera privata. O almeno in parte. Può guardarlo (e già in questo viene ampiamente tracciato) ma non può salvarlo in maniera anonima. Non è libero di tenerlo per sé, di conservarlo. Viene ormai tracciato anche in questo atto – altamente significativo dal punto di vista della libertà d’azione.
Sembra una fesseria, una cosa da poco, e invece a me suona come una enorme riduzione dello spazio (privato) in cui un utente si può muovere.
Per fortuna usando un browser su di un pc desktop o laptop è ancora possibile fare screenshot in totale libertà. Speriamo che almeno questa libertà duri a lungo.
Ma proprio il paragone tra queste due modalità di fruizione – ormai coesistenti – mi fa maledire l’eccessiva enfasi che abbiamo messo sulla nascita e sullo sviluppo delle app.
Quando i primi smartphone hanno iniziato a diffondere le app – ossia a strutturare il nostro approccio ai dati e all’informazione attraverso software mono-funzione, dedicati a svolgere un compito preciso, determinato alla fonte dallo sviluppatore – abbiamo salutato questa novità con molto entusiasmo. Ma è stato un attegiamento da stolti. Ci siamo lasciati infinocchiare dalla novità, dal cambiamento per il cambiamento. Non sapevamo precisamente cosa ci attendeva.
Avevamo il browser ma non ci bastava. Sbagliavamo, stiamo ancora sbagliando.Dalla metà degli anni ’90 il browser è pian piano diventato – in maniera trasparente – una piattaforma universale per l’accesso a (quasi) tutto ciò che si trovava in rete. Un browser puoi usarlo sul desktop e sul mobile, non è nemmeno legato al sistema operativo che usi. Il browser è LA FINESTRA sulla Rete delle reti. Quando sono arrivate le app però l’approccio è cambiato. Non più una porta unica da cui accedere a tutto ma mille porte diverse, ognuna proprietaria, che porta a micro-porzioni di informazione o micro-funzioni, ognuna delle quali, peraltro, controllata dal proprietario del software.
Non che le app non abbiamo i loro vantaggi, intendiamoci. Un’app è decisamente più pratica di un browser per chi ha in mano uno schermo minuscolo e deve interagire con la macchina attraverso la pressione di un dito sullo schermo. Però l’aver incanalato qualsiasi funzione dentro questi micro-software non è proprio una mossa felice – almeno dal punto di vista dell’utente. Ormai creare app è un must (come dicono quelli lessicamente più à la page). Non c’è azienda che non voglia creare la sua app. Anche qualora abbia necessità di consultare le informazioni relative a quell’azienda solo 1 o 2 volte l’anno, l’utente viene spinto a scaricare un’app. Un’app specifica per quell’azienda e per nient’altro. Un’altra app dentro uno smartphone che – il più delle volte – non brilla per l’ampiezza del suo disco fisso. Un’altra app da scaricare significa un’altro apparecchio che diventa ancor più affollato di software e quindi più lento. Da una parte l’azienda fa vanto di essere al passo coi tempi, avendo sviluppato la sua “brillante” app e dall’altro l’utente che ha scaricato l’app si trova un apparecchio meno performante. Un utente che avrebbe potuto svolgere le stesse funzioni e arrivare alle stesse informazioni consultando il sito dell’azienda attraverso un browser. Chi esce vincitore da questo scenario?
Ma torniamo alla libertà di “screenshottare”. Se uso un computer, posso fare delle copie di tutto ciò che passa sullo schermo. Anche sugli smartphone ormai è possibile fare pressoché lo stesso (esiste una funzione apposita) ma perché in questo caso l’apparecchio deve mandare una notifica? È davvero necessario? Perché legare questa funzione (teoricamente trasversale a tutto il sistema operativo) ad alcune app?
Non sono un apocalittico. Non sono uno di quelli che crede (e predica) che ci hanno messo in mano uno smartphone per controllare tutte le nostre attività, ma di certo questo nuovo modo di intendere il rapporto tra app e utente (tra aziende e utente) certi dubbi li fa venire.
Fonte dell’immagine: NicolasFradet.com.