Café Society

Café Society
di Woody Allen (USA, 2016)
con Jesse Eisenberg, Kristen Stewart, Steve Carrell,
Blake Lively, Paul Schneider, Anna Camp, Ken Stott,
Corey Stoll, Tony Sirico, Parker Posey, Max Adler,
Jeannie Berlin, Stephen Kunken, Sari Lennick,
Sheryl Lee, Don Stark, Gregg Binkley

Questa commedia è davvero una piccola bomboniera, perfetta nei dialoghi, nella scelta della location e nella colonna sonora. Non importa se la sua trama non è delle più originali, Café Society va visto perché è fatto benissimo. Si tratta di una delle migliori pellicole girate da Allen negli ultimi 10 anni.
Credetemi quando vi dico che Woody Allen non si è rincoglionito. Certo, non siamo di fronte a un nuovo “Manhattan”, ma è anche vero che i tempi sono cambiati e il regista ha altre cose dire. Se ritenete che la sua vis comica si sia ormai spuntata, vi invito a fare attenzione ai dialoghi: alcuni scambi di battute tra i personaggi di questa pellicola sono davvero pungenti, vividi, ilari. In una parola: eccellenti.

La storia raccontata è molto semplice: Bobby è un giovane di venti anni circa che lascia New York per cercare fortuna a Los Angeles. La Grande Mela gli sta stretta, vuole cercare di far carriera nel mondo del cinema. Sua madre lo raccomanda presso suo zio – tale Phil Stern – un ricco e stimato produttore cinematografico, un vero pezzo grosso di Hollywood. Dopo avergli fatto fare anticamera per quasi un mese, lo zio Phil decide di dare una chance a Bobby; il ragazzo gli piace per cui gli assegna una piccola mansione nella sua azienda e lo affida alle cure della sua giovane assistente Veronica Sybil, detta Vonnie. La bella e dolce Vonnie porterà Bobby in giro per Beverly Hills, lo introdurrà nel dorato mondo del cinema anche se con un approccio alquanto disilluso – gli mosterà i vantaggi della bella vita losangelina ma allo stesso tempo lo aiuterà a tenere i piedi ben saldi per terra. Questo comunque sarà del tutto inutile perché Bobby nel mentre avrà già perso la testa per lei. Tra i due infatti nascerà immediatamente una grande amicizia, che in poco tempo si trasformerà anche in amore – più o meno ricambiato. La ragazza purtroppo è legata ad un altro uomo, un uomo sposato. Bobby, che inizialmente ignora l’identità del suo rivale in amore, rimarrà devastato nello scoprire che Vonnie è in realtà l’amante segreta di una persona che conosce benissimo.

In Café Society Allen racconta la Café Society gli anni ’30 mettendo a paragone – più o meno diretto – due metropoli statunitensi: Los Angeles e New York. La prima viene rappresentata come il regno della frivolezza, della bella vita, degli eccessi, dell’immagine sopra ogni cosa, l’altra appare ivnece come una città con maggiore senso della realtà, con i piedi per terra, ma allo stesso tempo corrotta: un posto in cui la malavita striscia nel buio, lontano dai riflettori e proprio per questo ottiene grandi successi. Insomma nessuna delle due città è così bella come si potrebbe immagine, ci sono luci e (molte) ombre in entrambi i luoghi; sulla gente di Hollywood, ad esempio, sembra che non si possa mai fare affidamento, sembra un agglomerato di persone sempre troppo prese da se stesse. La gente di New York (rappresentata da una famiglia di ebrei) appare invece più semplice. Questa semplicità però non è un valore del tutto positivo, anzi. I membri della famiglia d’origine di Bobby sono molto chiusi e tradizionalisti – quasi retrogradi, se vogliamo – inoltre mostrano in più di una occasione di essere dei cialtroni che non sanno stare al mondo, che quasi non capiscono quali possono essere le conseguenze dei loro gesti e delle loro scelte, appaiono molto legati tra loro, testarti e stolidamente attaccati alla dottrina religiosa. Tra di loro annoverano anche un giovane e potente gangster – il figlio maggiore, quel Ben che darà un lavoro e una posizione a Bobby – ma non provano vergogna più di tanto. La loro migliore qualità si paleserà proprio in occasione dell’arresto e della condanna a morte di Ben, quando dimostreranno di saper affrontare la drammatica situazione con grande dignità, senza piazzate isteriche.
Un elemento positivo di Los Angeles potrebbero essere Steve (un altro ricco produttore cinematografico) e sua moglie (la proprietaria di un’agenzia di modelle): sono originari di New York, vivono a New York – è vero – ma bazzicano spesso i party di L.A. Sono dei coniugi modello: moderni, aperti, brillanti, leali. Spesso danno consigli a Bobby su come comportarsi con Vonnie. Rappresentano la coppia che resiste, che non scoppia, nonostante viva immersa nel perverso mondo, tutto lustrini e paillettes, dello showbiz. Mi rendo conto comunque che questo dettaglio può anche essere interpretato al contrario: cioè Steve e sua moglie sarebbero capaci di resistere alla decadenza losangelina proprio perché sono newyorkesi, ma concedetemelo.

Ho visto questo film una decina di giorni fa al Cinema Fiamma di Roma in lingua originale. Mi ha sorpreso sentire le voci (non doppiate) dei due protagonisti. Non credevo che Kristen Stewart avesse un tono cosi basso e profondo. Forse è poco adatto per una ragazza con dei lineamenti così dolci, ma vi assicuro che per questo personaggio funziona. Quei bisbigli d’amore sembrano ancor più veritieri quando sussurrati da una voce di questo tipo.
Comunque sia, Eisenberg e Stewart sono fuori discussione. Bravissimi. Non avevo mai visto recitare la protagonista della saga “Twilight”, non pensavo non fosse così talentuosa. Mi ha sorpreso positivamente, lo ammetto.
Un grosso plauso anche a Steve Carrell, che per una volta non gigioneggia. Sì, diciamo che in qualche scena il suo personaggio si atteggia a simpaticone, ma il ruolo richiedeva altro, richiedeva una figura più seria, più pacata, meno goliardica. E in effetti l’attore ha saputo interpretare ottimamente ciò che gli veniva richiesto. Lo zio Phil peraltro è una figura complessa, di certo non è uno stinco di santo, anzi, lo si potrebbe considerare un vile per il modo in cui tratta sua moglie e la sua amante. Ma non sarebe corretto derubricarlo a mero personaggio negativo. D’altronde non abbiamo modo di sapere se ha avuto tante donne prima o dopo la sua seconda moglie, se cioè si tratta di un fedifrago incallitto e/o di un bugiardo seriale.
Uno dei personaggi più simpatici del film è senza dubbio Marty Dorfman, il papà di Bobby (interpretato da Ken Stott): una specie di anziano brontolone un po’ saggio, un po’ pigro, un po’ pessimista cosmico.
Anche sua moglie Rose (Jeannie Berlin) non scherza in quanto a simpatia, soprattuto quando si inalbera su questioni relative al significato di essere ebrei.
Blake Lively è stata messa a fare la bionda fatalona – giovane, ricca e sofisticata – che fa perdere la testa. Perfetto. Ruolo azzeccatissimo.
Corey Stoll è il fratello maggiore di Bobby: un gangster che fa la bella vita, che non si fa scrupoli nell’eliminare i rivali in affari e che rileva e trasforma il locale notturno che permetterà a Bobby di trovare il tipo di successo che cerca.
Tony Sirico – già volto noto per la serie “I Soprano” – ha il ruolo di un ristoratore italo-americano.
Anna Camp ha una sola scena nei panni di una prostituta di Los Angeles alle prime armi: giovane, imbranata e piagnona. Il suo personaggio è allo stesso tempo dolce e divertente. Funziona.

La pellicola è stata presentata al Festival di Cannes 2016.

Qualche giorno dopo aver visto questo film, mi è capitato – per caso – di riguardare “Il segreto del mio successo”, beh non potete nemmeno immaginare quante sorprendenti somiglianze ci siano nella prima parte delle due storie.

Se volete ascoltare un’anteprima della deliziosa sonora jazzy di “Café Society”, potete fare un salto su questa pagina. Gran parte dei pezzi sono eseguiti da Vince Giordano And The Nighthawks.

La scheda di IMDb.com, quella di Wikipedia, quella di Cinematografo.it e quella di MyMovies.it.