Gli sfiorati
di Matteo Rovere (Italia, 2011)
con Andrea Bosca, Miriam Giovanelli,
Claudio Santamaria, Michele Riondino, Massimo Popolizio,
Aitana Sánchez-Gijón, Asia Argento
Un’ora e 23 minuti di antefatto in cui non accade assoulutamente nulla. Giovani che vagano tra una festa e un divano, che si annoiano, anche quando sono nel centro di una bolgia. Il protagonista fa la spola tra casa, ufficio e locali varii, ma ha sempre un’espressione tra il depresso e il pensieroso. Si intuisce che è nel mezzo di un dramma ma non si intuisce minimamente quale sia il problema che l’affligge. Poi l’epifania, lo sblocco, il superamento dello scoglio. Lo spettatore capisce finalmente quala fosse il cruccio foriero d’angoscia. Sono passati 83 minuti – lo ribadiamo. E poi il nulla. Niente, tutto torna come prima o quasi. Tutto si supera, senza che nulla cambi, senza soluzione, senza nuovi problemi, senza sostanziali modifiche.
Che siano gli sfiorati i nuovi indifferenti di Moraviana memoria? Il paragone è forte – lo ammetto – ma è l’unica cosa plausibile che mi sia venuta in mente. E comunque, anche se così fosse, non è che possiamo ritenerlo un buon risultato. Dal punto di vista filmico mi sembra un bel “FAIL” come direbbero “quelli di internét”.
Andrea Bosca è il protagonista (Mète), il giovanottino che si lancia a tutta birra per via del Corso, in sella ad una bici, per raggiungere il matrimonio di suo padre in corso al Campidoglio. Faccia pulita, ciuffo fascinoso, begli occhi verdi, alterna espressioni corruciate a sorrisoni ammalianti. Per gran parte del film il suo personaggio dà l’idea di essere assente, di avere la testa completamente tra le nuvole, a causa di imperscrutabili funesti pensieri.
Su Miriam Giovanelli non ho un’opinione chiara. All’inizio farfuglia, non si capisce bene cosa dica, la sua pronuncia non è perfetta – è anche vero che è spagnola e le viene chiesto di recitare il ruolo Belinda, la sorellastra di Mète: una ragazza bilingue italo-spagnola – poi migliora, verso il finale soprattuto. Indiscutibile il fatto che abbia un corpo che toglie il fiato. Dunque le riesce benissimo fare la fatalona.
Nell’economia delle personalità Claudio Santamaria è il bravo ragazzo, quello con la testa sulle spalle. Fa il grafologo, proprio come il protagonista, ed ha due bambine. Da poco si è separato da sua moglie. È lui la mente brillante – si fa per dire – che colleziona reperti che possano fungere da prove per corroborare scientificamente la sua teoria sulle persone definibili “sfiorate”.
Michele Riondino è invece Damiamo, l’amico peter-pan, perennemente giovane nell’animo, poco affidabile, approfittatore, edonista, bugiardo e forse anche traditore. Gli piacciono la bella vita, gli affari e le donne. Di mestiere fa l’agente immobiliare – sulla scelta di questa professione per un ruolo simile ci sarebbe molto da dire – e va matto per Beatrice, donna più matura di lui e apparentemente inarrivabile.
A Massimo Popolizio il ruolo del padre di Mète: un buzzurro che di mestiere fa l’allenatore di una famosa squadra di calcio. L’affascinante Aitana Sánchez-Gijón interpreta sua moglie (una donna di origini spagnole).
Asia Argento recita la parte di Beatrice, una stronza psicopatica. Vi dirò: è perfettamente crebile. In alcuni frangenti esagera un po’, va un filino sopra le righe – fa overacting – ma è perdonabile.
Questo film è tratto dal romanzo omonimo di Sandro Veronesi. Lo stesso Sandro Veronesi di “Caos Calmo”? Sì, da non crederci.
La scheda di Wikipedia, quella di Cinematografo.it e quella di MyMovies.it.