La felicità è un sistema complesso
di Gianni Zanasi (Italia, 2015)
con Valerio Mastandrea, Hadas Yaron, Giuseppe Battiston,
Filippo De Carli, Camilla Martini, Domenico Diele,
Maurizio Donadoni, Teco Celio, Maurizio Lastrico,
Paolo Briguglia, Daniele De Angelis, Matteo Martari
La felicità sarà forse un sistema complesso ma a me è sembrato che i protagonisti di questa pellicola, cercassero più che altro di tenersi fuori dai guai, di non finire cioè nel baratro, piuttosto che aspirare alla contentezza massima.
Avinoam è una ventenne di origine israeliana che, dopo essere stata mollata da Nicola, un ragazzo codardo con cui sta da circa un mese, si rintana in casa di suo fratello, Enrico, non avendo altro posto in cui andare e non conoscendo altri in Italia. E qui cerca anche di togliersi la vita.
Ma è proprio Enrico – Enrico Giusti, il fratello di Nicola – il protagonista del film: un tizio sulla quarantina che fa un mestiere molto strano – più unico che raro – un mestiere che consiste nel convincere i figli di grandi industrali ad abbandonare la posizione di potere che rivestono per dedicarsi ad altro, al fine di evitare di mandare in malora tutto il business creato negli anni dalla propria famiglia.
I problemi per Enrico arrivano quando gli si intrecciano davanti due grossi imprevisti: il primo è l’arrivo di Avinoam nella sua vita, il secondo è il nuovo lavoro assegnatogli dall’azienda per cui lavora, ossia doversi occupare di Filippo e Camilla, due giovanissimi rampolli di una famiglia di industriali.
Avinoam, dal momento che ha tentato di togliersi la vita, deve essere guardata a vista. Enrico decide di non cacciarla via ma di occuparsene, perché sente di esserne responsabile.
Filippo e Camilla invece sono speaesati e indifesi. I loro genitori sono morti da pochissimi giorni e l’azienza che hanno ereditato è qualcosa di enorme, un ingranaggio spropositato, di dimensioni internazionali, una resposabilità più grande di loro. Per di più lo zio Umberto, che dovrebbe far loro da tutore, vuole approfittare della situazone per mettere definitivamente le mani sull’azienda, facendosi aiutare in questo da Enrico, che dovrebbe appunto spingere i due giovani fuori dalla proprietà.
Nessuno ha calcolato però la reazione di Filippo – un giovane di circa 20 anni, timido ma determinato – che inizialmente sembra fidarsi di tutti gli adulti che hanno preso a circondarlo ma che cambia subito idea, appena si rende conto di come stanno le cose. La sua intenzione infatti è di tenere strette le redini dell’azienda, magari facendosi aiutare da gente diversa, con l’obiettivo di seguire le orme di suo padre: un imprenditore dalla vocazione bonaria ed umanitaria – ben voluto da tutto il paese in cui si trova l’azienda – che di certo si sarebbe opposto al licenziamento di massa che gli altri soci si stanno affrettando a realizzare.
In questo tourbillon di eventi accade anche che Avinoam si affeziona molto ad Enrico. Tra i due scatta una certa scintilla quando sono costretti a lavorare insieme su questo caso di Filippo e Camilla, quasi senza volerlo.
La storia raccontata in “La felicità è un sistema complesso” è di certo originale e interessanta – almeno fino a un certo punto. Diciamo però che il finale lascia un po’ a desiderare. Il burnout di Enrico c’è ma è anch’esso blando, non teatrale, goffo ma non propriamente ridicolo, una minestrina tiepida che non convince. Fortunatamente non c’è l’happy ending, che avrebbe rovinato ulteriormente le cose.
Valerio Mastandrea è sempre una garanzia. Forse – anzi sicuramente – è il migliore di tutto il cast. La parte del manager iper-stressato, che non riesce a far convivere i successi professionali con la vita privata, riesce a tratteggiarla con sapienza. Anche la trasformazione da figurina sicura dei propri successi ad anima in pena che cova rabbia inespressa è graduale e molto efficace. Voto 9.
Battiston per alcuni “fa sempre Battiston”, però qui è un po’ più defilato. La sua presenza non è esagerata. Ha due o tre scene nel ruolo del superiore di Enrico, un cinico figlio di papà privo di alcuna forma di moralità. Molto divertente la scena in cui si scopre essere eroinomane.
Hadas Yaron non l’avevo mai vista recitare. Esordiente totale dunque ai miei occhi. Recitazione discreta. Direi che la sua prova è abbastanza buona: un’alternarsi tra espressioni da piccola dolce ragazza indifesa a piglio da ventenne indisponente con il broncetto facile.
Anche Filippo De Carli e Camilla Martini credo siano alla loro prima apparizione sullo schermo. La performance della ragazza è ok, mentre quella di De Carli lascia molto a desiderare. Le espressioni, i tempi e la dizione sono veramente da dimenticare. In questo caso lo spontaneismo e la genuinità mi sembra che abbiano preso il sopravvento, mettendo da parte una base minima di recitazione professionale.
Maurizio Donadoni intepreta lo zio cattivo e autoritario dei ragazzi.
Teco Celio è una specie di finto-guru fissato con la “purezza”. Il suo ruolo è anche quello del padre di Battiston.
Al bravo Maurizio Lastrico – il comico di Zelig che declama rime in stile dantesco – il compito di dare corpo e voce ad un operaio che cerca di darsi fuoco in piazza per protestare contro i licenziamenti voluti all’azienda per cui lavora.
Paolo Briguglia ancora nei panni del fighetto di buona famiglia. Porello, gli fanno fare ormai sempre lo stesso ruolo.
Domenico Diele – il poliziotto Luca Pastore della serie “1992” – ha solo poche scene nei panni di un manager della società per cui lavora Enrico Giusti.
La colonna sonora del film è molto deliziosa, nient’affatto banale. Non tanto per le musiche originali, cioè scritte appositamente per il film, quanto per altri tre pezzi già editi, che però secondo me sono stati usati un po’ troppo durante le scene. Intendo: “She’s a Rainbow” dei Rolling Stones, “Victim” dei Win Win e “In a manner of speaking” dei Nouvelle Vague.
Nota: Mastandrea, Battiston, Briguglia e Celio lavorarono già per Zanasi nella pellicola “Non pensarci” del 2007.
La scheda di Wikipedia, quella di Cinematografo.it e quella di MyMovies.