Suburra
di Stefano Sollima (Italia e Francia, 2015)
con Pierfrancesco Favino, Claudio Amendola, Elio Germano,
Alessandro Borghi, Greta Scarano, Giulia Elettra Gorietti,
Antonello Fassari, Giacomo Ferrara, Adamo Dionisi, Jean-Hugues Anglade
Sollima racconta una Roma decadentissima in cui il malaffare regna su ogni cosa.
In Suburra si intrecciano le losche vicende di una legge per lo sblocco delle costruzioni selvagge sui litorali italiani (spalleggiata dalla malavita organizzata meridionale), un deputato di destra con uno smodato desiderio di trasgressione (messo in pratica attraverso festini a base di sesso ed eroina), un giovane boss di Ostia che non vede l’ora di trasformare la grande spiaggia di fronte a casa in una specie di Las Vegas tirrenica (il progetto Waterfront), la furia vendicativa di una famiglia di malavitosi di origine nomade e le dimissioni di un Papa.
L’energia di innesco del plot è una morte tanto improvvisa, quanto involontaria: l’overdose di una minorenne che prende parte all’orgia a tre con l’onorevole. Gran visir del caos colossale che ne consegue è un figuro laido e raggelante che tutti conoscono come il Samurai.
Tutta la pellicola è scandita da un countdown di 7 giorni – dal 7 al 12 novembre 2011 – che porta ad un epilogo definito “L’apocalisse”.
Tra tutti i personaggi che affollano la scena è difficile individuare un vincitore. Più che altro sono tutti vinti; anche quelli che alla fine non ci lasciano le penne, comunque restano a terra – letteralmente e non.
Qualcuno ha detto che probabilmente Stefano Sollima riesce ad esprimersi meglio con le serie tv,il linguaggio seriale, il racconto in più capitoli/puntate. Forse è vero, comunque sia questo Suburra non è affatto male. Anzi. Io l’ho trovato costruito egregiamente e confezionato in modo pulitissimo.
Gli ingranaggi della trama funzionano alla perfezione – non per niente tra gli sceneggiatori c’è anche De Cataldo, l’autore del bestseller “Romanzo Criminale” – così come la recitazione di gran parte del cast è eccellente. Unico elemento stonato è la connessione tra le mafie del Sud e la Chiesa. La cosa è solo accennata, una scena buttata là, senza alcuna profondità. C’era da qualche parte l’evidente desiderio di conivolgere le altissime sfere del Vaticano nei grossi giri del malaffare rappresentato, ma non si ha avuto forse il coraggio di tracciare un quadro più chiaro, di scavare nel profondo, di spiegare il perché e il percome. Mah.
Comunque la recitazione – dicevamo – è l’elemento che più nobilita la pellicola, ad iniziare dai tre pezzi grossi su cui la produzione ha scommesso: Amendola, Favino e Germano.
Amendola è impareggiabile. La sua interpretazione del Samurai – questo faccendiere, ex componente della Banda della Magliana, silenzioso e potenzialmente violentissimo di cui tutti hanno paura – è da premio.
Favino in questo ruolo ci ha messo tutta sua fisicità, sin dalle primissime scene, ossia quelle in cui appare nudo (al 99%) durante il festino a luci rosse. Recita senza sbavature, anche se nei panni di un onorevole ipocrita – accasato e assatanato – ci avrei visto qualcuno meno alto, meno robusto, meno giovane. Ciò detto, rimane che la sbruffonaggine richiesta dal personaggio è stata sapientemente tirata fuori dall’attore.
Elio Germano mi stupisce ogni volta. Che sia bravo ormai è chiaro, si sa, lo sappiamo tutti, ma non fa che confermare questa senzazione di volta in volta. Da restarci a bocca aperta. Ogni volta è una conferma. Ogni volta si supera. Qui interpreta Sebastiano, una specie di addetto alle PR – sostanzialmente un pappone viveur che organizza feste in un mega villone neoclassico. Incredibile come riesca ad esprimere tutta la paura, l’inadeguatezza, l’ignobiltà di un essere vile e smidollato che tradisce l’unica persona per cui (probabilmente) prova un sentimento – peraltro abbastanza ricambiato.
Un’altra interpretazione magnifica è quella di Adamo Dionisi nei panni di Manfredi Anacleti, ossia del capofamiglia Rom che tira fuori tutta la sua ferocia nell’esercitare la professione di strozzino e soprattutto nel vendicare la morte di suo fratello minore.
Valutazione molto positiva anche per il corretto atteggiamento strafottente di Aureliano Adami – detto Numero 8 – interpretato da Alessandro Borghi. Barbuto e tatuatissimo se la comanda dal suo appartamento con i muri di vetro e la vista sulla spiaggia.
Greta Scarano – al suo fianco in qualità di Viola, la fidanzata tossica – se la cava egregiamente, soprattuto nella seconda parte del film.
Giulia Elettra Gorietti è una specie di squillo d’alto bordo (oggi diciamo escort) alle dipendenze di Sebastiano. Molto carina, riesce ad esprimere tanta sensualità nella scena di sesso a tre, pacchi di disperazione nelle scene in cui è braccata dai Rom vendicativi e un filo di adeguata dolcezza nell’unico frangente in cui si crea un po’ di tenerezza con il suo amico/datore di lavoro.
Per il sempre valido Antonello Fassari un ruolo profondamente drammatico: il papà del PR, un uomo che decide di suicidarsi per i troppi debiti accumulati ma che, ormai, non riesce più a dialogare con suo figlio, neanche per comunicargli la sua ultima drammatica scelta.
A Giacomo Ferrara è stato affidato il ruolo del criminale rom, mezzo punk, smilzo e sbruffoncello; un giovane di appena 25 anni chiamato a risolvere problemi – come il celeberrimo Mr. Wolf di Pulp Fiction – che si inventa un ricatto troppo grande da gestire o comunque non alla sua portata.
Jean-Hugues Anglade ha un ruolo alquanto limitato (anche in termini di pose): interpreta il giovane braccio destro del papa, un prete spaventato dalla scelta del Santo Padre di abbandonare il soglio su cui è stato chiamato a sedere (a divinis).
La scheda di IMDb.com, quella di Wikipedia, quella di Cinematografo.it e quella di MyMovies.it.