Il capitale umano
di Paolo Virzì (Italia, 2014)
con Matilde Gioli, Fabrizio Gifuni, Fabrizio Bentivoglio,
Valeria Bruni Tedeschi, Valeria Golino, Bebo Storti, Gigio Alberti,
Luigi Lo Cascio, Guglielmo Pinelli, Luca Ambrosini, Federica Fracassi
Virzì ha preso il romanzo omonimo di Stephen Amidon e (adattandolo all’Italia del 2010) lo ha trasformato in un delizioso thriller.
Mentre torna a casa in bici, di notte, un cameriere viene spinto fuori strada da un SUV e batte la testa, ferendosi gravemente. L’autista del veicolo non si ferma a soccorrerlo.
Ma chi era alla guida dell’auto? I sospetti cadono su due ragazzi: Massimiliano Bernaschi e la sua ragazza Serena Ossola. L’uno è il rampollo di uno dei più ricchi uomini d’affari della città, l’altra è la figlia di un agente immobiliare che ha tanta voglia di diventare ricco.
Le due famiglie si conoscono già. Proprio sfruttando il contatto dell’amicizia tra i due ragazzi, infatti, il papà di Serena (Giovanni) è riuscito ad entrare in contatto con il padre di Massimiliano, il milionario Dino, e a investire 700 mila Euro – più del valore di tutto il suo patrimonio – in un fondo gestito dalla società del Bernaschi, nella speranza di guadagnare in poco tempo il 40% di interesse.
Nel mentre Carla, la mamma di Massimiliano – un’ex attrice di 40 anni circa, che ha mollato la recitazione per sposare il Bernaschi – decide di salvare l’unico teatro della città dalla chiusura, convincendo suo marito ad acquistarlo e a ristrutturalo; il suo principale interesse sarà occuparsi della struttura, di cui si è anche fatta nominare (senza grandi entusiasmi) a capo del consiglio di amministrazione, e della sua nuova stagione di spettacoli.
Oltre all’originalità della trama, di positivo in questo film c’è da segnalare anche la struttura narrativa. Virzì racconta la vicenda a blocchi prospettici, fornendo cioè allo spettatore una visione multipla di quello che accade. Tre sono i capitoli e tre i punti di vista, prospettive che hanno in comune parecchio, ma che non sono mai del tutto identiche. Anzi, ogni tranche del racconto, riprendendo da un angolo diverso quello che già ha raccontato, si focalizza sulla visione di un altro personaggio e allo stesso tempo aggiunge nuovi elementi all’insieme dei fatti.
Altro fattore significativo de “Il capitale umano” è la recitazione del cast. Ottima scelta su tutta la linea.
Attraverso il suo Dino Ossola, Fabrizio Bentivoglio rappresenta l’uomo stolto, desideroso solo di arricchirsi, un borghesuccio presuntuoso, ma ingenuo, che pur credendosi furbo, finisce vittima del proprio giochetto di speculazione.
L’eccelso Fabrizio Gifuni interpreta il finanziere Giovanni Bernaschi: un uomo tanto ricco quanto doppio, falso, ipocrita ed egoista, attento solo ai propri affari e al proprio patrimonio.
Valeria Bruni Tedeschi è la bionda e frustrata Carla, una tizia viziatissima e sciocca, che cerca di sfogare la disperazione per le proprie sventure rifugiandosi tra le braccia (diciamo così) di uno sceneggiatore (Donato Russomanno/Luigi Lo Cascio) che la riempie di attenzioni.
La giovane e bellissima Matilde Gioli (per la prima volta sul grande schermo) dà volto e corpo a Serena Ossola: uno spirito libero che trova l’amicizia vera e l’amore in Luca (Giovanni Anzaldo) un ragazzo fragile, con problemi psichiatrici e desideroso di tanto affetto.
A Guglielmo Pinelli l’ingrato compito di recitare nei panni del cosiddetto bambascione: il riccioluto, viziato, menfreghista e infantile figlio unico dei Bernaschi, futuro ereditiere di un impero da milioni di Euro che non regge l’alcol e non sa affrontare dignitosamente la fine di un amore post adolescenziale.
Valeria Golino è il personaggio positivo del film. Forse l’unico, forse troppo positivo. Interpreta Roberta Morelli, la compagna di Dino: una psicologa che lavora in una struttura ospedaliera pubblica. Oltre che buona e al servizio dei pazzi della mutua, è anche incinta. Il suo unico neo è l’essere all’oscuro di tutto sino all’ultimo momento, quello della tragedia. Ma probabilmente anche chi non si accorge che il Mondo sta per crollargli addosso, ha un po’ di responsabilità nella sventura che gli accade.
Un bel po’ di complimenti a Bebo Storti che riveste la parte del commissario buono ma dal polso fermo, ossia il titolare delle indagini sul caso del cameriere investito.
Il sempre simpatico Gigio Alberti questa volta ha un ruolo più che serio: impersona il direttore di banca che concede un ingente prestito a Dino Ossola pur senza verificare il motivo dell’investimento di quest’ultimo, né la sua situazione finanziaria.
Ok, il film è molto bello, ben fatto davvero. Ma anziché trarre delle banali conclusioni, invito tutti a porsi due domande:
1. Vi pare corretto generalizzare? Possiamo estrapolare le vicende qui rappresentate a tutta l’Italia? Il nostro Paese è diventato proprio la schifida società rappresentata da Virzì in questa pellicola? O si tratta forse di un quadretto limitato al solo Nord Italia, quel settentrione di provincia “ricco e viziato”, che a parole siamo tutti bravi a disprezzare? In fondo non è nemmeno giusto buttare la croce esclusivamente su questa realtà geografico/econonomico/sociale. Non credete? Nel mio piccolo mi limiterei ad apprezzare il film per quel che è: una bella storia, originale, raccontata bene e soprattutto recitata ottimamente. In più, se volete, possiamo aggiungerci un alto tasso di verosimiglianza.
2. La responsabilità è tutta dei padri? Nel senso: disinteressarsi del tutto alla vita dei propri figli, per concentrarsi esclusivamente sulla propria, porta a sicure disgrazie? I genitori meno attenti all’educazione dei figli si ritrovano poi – necessariamente – con dei mostri in casa? Io spero che non sia questo l’assunto di base. Non perché aborro le opere culturali con un messaggio meramente negativo (anzi) – ma perché altrimenti sarebbe troppo semplicistico (oltre che deterministico).
Una delle frasi più significative del film – ripresa anche nel trailer – è: «Avete scommesso sulla rovina di questo paese e avete vinto».
Voto: una delle migliori pellicole dirette finora da Virzì. Lodi a lui, all’autore del romanzo e a tutto l’entourage che ha permesso la realizzazione di questo film. Da vedere sicuramente. 8 Euro per un biglietto del cinema li vale tutti.
La scheda di Wikipedia, quella di Cinematografo.it e quella di MyMovies.it.