The Butterfly Effect
di Eric Bress e J. Mackye Gruber (USA, 2003)
con Ashton Kutcher, Amy Smart, Melora Walters,
Elden Henson, William Lee Scott, Irene Gorovaia,
John Patrick Amedori, Kevin G. Schmidt, Jesse James, Logan Lerman
Attenzione. Trattasi di un film di tipo “supernatural”. Io non lo sapevo (avrei dovuto immaginarlo) ma l’ho visto ugualmente.
Evan è un ragazzino americano di circa 7 anni che soffre di strani vuoti di memoria. Le sue amnesie, che si verificano sempre a causa di un fortissime emozioni, durano molto poco ma sono alquanto anomale. In presenza di uno shock cade quasi in catalessi, un ambiguo stato di incoscienza cosciente, e subito dopo si sveglia senza ricordare nulla di quello che è accaduto intorno a sé. Come se non bastasse, poi, tra infanzia e adolescenza è vittima anche di diversi traumi.
Evan vive solo con sua madre. Suo padre – che non ha mai conosciuto – è un matto rinchiuso in manicomio. La prima e unica volta che il ragazzino va nella casa di cura per malattie mentali ad incontrarlo, questi tenta di strangolarlo. Ma per fermare questo atto di grave violenza, gli infermieri danno un colpo in testa al matto e finiscono per ucciderlo. Così Evan ha la sfortuna di assistere alla morte del suo vecchio: un trauma nel trauma.
Ma non è tutto. Un giorno sua madre, non potendolo accudire, lascia il piccolo Evan a casa di alcuni amici coetanei e il depravato padre di questi ne approfitta per abusare sessualmente dei tre ragazzini.
Qualche anno dopo, durante gli anni spensierati dell’adolescenza, con altri tre sue coetanei – praticamente sempre gli stessi – Evan organizza una bravata che costa la vita ad una giovane signora e al suo piccolo figlio. Insomma uno scherzo cretino, che ha per oggetto un candelotto di dinamite, si trasforma in duplice tragedia. Uno dei ragazzi coinvolti nella vicenda ne resterà pure sconvolto per tutta la vita.
Evan e sua madre lasciano la città. Passano gli anni. Il ragazzo si è fatto grande e va all’università. Per puro caso una notte si imbatte nei quaderni/diari su cui da ragazzino si appuntava la vita di tutti i giorni: una pratica – consigliata da un neurochirurgo – che avrebbe dovuto svolgere la funzione di rimedio psichiatrico per i vuoti di memoria.
Con l’aiuto di questi scritti il protagonista cerca di tornare indietro con la memoria, di ricordare quello che è accaduto durante le brevi amnesie di cui un tempo era vittima, ma da cui ormai sembra guarito. Il suo obiettivo in principio è di fare chiarezza su tutti i buchi neri.
Ci riesce? Più o meno. A modo suo, comunque.
Qui il film – che fino a questo punto sembrava avere un senso – prende una svolta WTF (What The Fuck), come direbbero i giovinastri dell’interwebs. In pratica l’intera trama diventa una gigantesca scemata. Sì perché Evan con la sola forza del pensiero torna indietro a giorni bui della sua esistenza e cambia il corso degli eventi. Così. Puff. Come per magia. Con un grande sforzo psico-fisico, che gli procura ogni volta urla belluine e perdita di sangue dal naso, ripensa alle cose brutte che sono successe a lui, a sua madre alla ragazza a cui vuole bene e ai suoi compagni, e modifica la storia. La sua e di quelli che gli stavano/stanno intorno. Perché? Il medico che lo ha in cura dice che Evan ha una malatia rarissima (e ti pareva) che gli provoca delle tremende emoraggie sulla parete esterna della corteccia celebrale. Dunque siamo di fronte a malattie mentali che permettono di viaggiare nel tempo! Questo è il perno della storia.
Dunque il protagonista ritorna indietro nel suo passato e cambia il corso degli eventi. Non voleva farlo ma lo fa. Incoscientemente. Poi si accorge di avers sbagliato di aver combinato un pasticcio. E torna ancora indietro. Diventa uno sfigato, poi un violento, poi perde le braccia. E torna indietro una, due, tre quattro volte. Ora per salvare se stesso, ora per migliorare la vita sfortunata di una delle persone che ha conosciuto.
E tutto questo accade mentre le linee del tempo si ingarbugliano, ma non importa. Allo sceneggiatore non frega poi molto se lo spettatore non trova più alcun bandolo nella matassa aggrovigliata che è diventato il film.
Ma passiamo al titolo: perché “The Butterfly Effect”? Conoscete la cosiddetta “Teoria del caos” secondo cui “Il minimo battito d’ali di una farfalla è in grado di provocare un uragano dall’altra parte del mondo”? Ebbene, il riferimento è alla potenza “mentalista” del protagonista, che tornando indietro nel tempo, cambia volontariamente un solo elemento nel corso della sua vita e finisce per modificare involontariamente tutta l’esistenza sua e di chi gli sta intorno. Leggi: incasina tutto il resto.
Ashton Kutcher è bravino. Se la cava. Porello, non so fino a che punto sia colpa sua l’essersi cacciato in questa Caporetto supernatural.
Amy Smart non recita malaccio. Straordinari i truccatori in grado di far oscillare la sua Kayleigh da racchietta inutile, a bellona reginetta del campus, passando per “biondina passabile”.
Melora Walters invece mi mette sempre una certa angoscia addosso. Perfetta dunque per il ruolo della mamma addolorata per le sorti del figlioletto smemorato.
Parecchio bravi anche il piccolo Logan Lerman nel ruolo di Evan a 7 anni e Irene Gorovaia in quello della sua amica Kayleigh – anch’ella in versione settenne.
La scheda di IMDb.com, quella di Cinematografo.it e quella di MyMovies.it.