In Time
di Andrew Niccol (USA, 2011)
con Justin Timberlake, Amanda Seyfried, Cillian Murphy,
Vincent Kartheiser, Johnny Galecki, Olivia Wilde, Shyloh Oostwald,
Matt Bomer, Jesse Lee Soffer, Will Harris, Michael William Freeman
In un futuro distopico tutti gli esseri umani avranno i giorni contati: 25 anni di vita. Ogni uomo e ogni donna avranno un orologio al polso (un display verde LCD integrato sottopelle) che segnerà il tempo che rimane loro da vivere, ossia un vero e proprio countdown verso la morte. L’unico modo per rimanere in vita oltre quella data pre-destinata è acquistare tempo. Sì, perché in questa storia futuristica il tempo è una risorsa scambiabile, una vera e propria moneta che ha sostituito del tutto il denaro.
Will Salas, il protagonista, è un giovane operaio di 28 anni (ha 25 anni da 3 anni) che vive e lavora nel ghetto, la zona più povera di tutta la città, quella in cui ci sono le fabbriche che costruiscono i sistemi di raccolta elettronica del tempo. Abita con sua madre Rachel, una donna molto bella e dall’aspetto giovanile ma povera, a cui rimangono pochissimi giorni di vita.
Un giorno Will incontra Henry Hamilton – un riccastro pieno di tempo che è andato nel ghetto a divertirsi un po’ e a rischiare la pelle perché annoiato della sua vita perfettina da “iper-benestante” – e lo salva da morte sicura, o comunque da un brutto pestaggio. I due fuggono da una violenta banda di “rubatempo” e si rifugiano in un vecchio capannone. Passano la notte insieme nascosti, chiacchierano, si scambiano la visione del mondo ma il mattino dopo, all’alba, Henry si suicida, non prima di aver regalato a Will durante il sonno tutto il suo tempo.
Quello stesso giorno per una serie di fortuite e sfortunatissime casualità la madre di Will muore. Così il nostro decide di regalare 10 anni di tempo appena guadagnati al suo amico di sempre Borel e di abbandonare tutto. Si veste da riccone e parte per il quartiere della città dove vivono i ricconi. Si fa venire a prendere da una limousine con autista, paga alcuni salatissimi pedaggi e arriva finalmente nella zona dove nessuno vive angosciato per l’arrivo della morte a tempo.
Qui si nutre subito con cibo di prima qualità e poi decide di andare a giocare/rischiare un po’ del suo tempo al casinò. Tra i tavoli da gioco incontra (e si scontra con) il ricco e potente Mr. Weis – un uomo che ha a disposizione migliaia (anzi milioni) di anni – il quale lo invita subito a una grande festa nella sua immensa villa. Al ricevimento conosce Sylvia, la figlia di Weis, e tra i due scocca subito una specie di intesa. La grande festa però viene interrotta sul più bello dall’arrivo dei poliziotti, che sono sulle tracce di Will, accusato di aver ucciso Henry Hamilton attraverso la sottrazione di tutto il suo tempo/denaro.
Ma a questo punto il buon Will fa un colpo di testa: sentendosi alle strette e accerchiato, prende in ostaggio la figlia di Weis, corre via dal palazzo e torna a rifugiarsi nel ghetto. La coppia riesce bene o male a cavarsela ma ben presto la fuga si trasforma in altro: una battaglia dei poveri contro i ricchi, una sfida del Bene contro il male. In questo Sylvia abbraccia preso la causa di Will e da ostaggio si trasforma in ricercata – la classica Sindrome di Stoccolma, insomma. Anzi, di più: il sentimento positivo nei confronti del proprio aguzzino arriva a diventare proprio amore. I due così si mettono a rapinare banche per distribuire tempo a chi ne ha bisogno. Diventano due Robin Hood ricercati e fuggitivi. O meglio Bonnie & Clyde in salsa futurista.
Tra di loro provano a mettersi – invano – solo il ricco padre di lei e il “custode del tempo” Raymond Leon, ossia una specie di poliziotto investigatore, che ad un certo punto si trova schiacciato tra il dovere di dare la caccia ai due giovani fuorilegge e il disgusto nel fare da pedina nelle mani dei ricconi.
Il primo tempo del film appare interessante, incuriosisce e costruisce grandi aspettative; più avanti però tutto ciò viene bellamente disatteso. Il secondo tempo, infatti, delude molto: la trama si siede sul concetto di due rivoluzionari buoni, dalla parte del giusto, soli contro un mondo di aridi approfittatori che, pensando solo al denaro e al potere, si arricchiscono sfruttando i più poveri.
Gli interrogativi etici (e retorici) che il film cerca di proporre sono: “È rubare se è già stato rubato?” Il concetto “Per pochi mortali la maggioranza deve morire” vi sembra giusto? E nel domandare vuole convincere lo spettatore che in entrambi i casi la risposta giusta sia “NO”.
Per me Justin Timberlake è da promuovere a pieni voti. Sto ragazzetto (ormai trentenne), oltre che cantare e ballare, sa anche recitare. Fuori di discussione. Solo che la sua strada la vedo in salita: non so quanti altri blockbuster gli potranno affidare in futuro. Questo film mi sembra un po’ un banco di prova. Ma diciamo che “In Time” non è diventato proprio un cult del genere Sci-Fi. Dunque chissà.
La prima cosa che ho pensato davanti all’immagine di Amanda Seyfried nei panni di Sylvia Weis è stata: “Ma quanto è dimagrita per poter fare questo ruolo?”. (Scusate). Ad ogni modo mi è apparsa molto carina e valida nella parte della giovane e frivola figlia del magnate Weis, meno in quella della bandita ricercata.
Cillian Murphy è notevolmente credibile nei panni dello sbirro messo a custodire il tempo con indosso tristi divise da gendarme: ha il giusto ceffo da beccamorto per trasmettere il grigiore della classe operaia.
Matt Bomer è il belloccio che si suicida gettandosi da un ponte mentre sorge il sole.
Olivia Wilde è invece la bella (bonazza) mamma di Justin.
A Vincent Kartheiser l’onere di rappresentare lo stronzo e sfrontato Weis. Forse un tantino giovane per fare il ricco avido ed egoista, ma funziona. Non dimentichiamo, tra l’altro, che in quel mondo tutti gli esseri umani hanno (dovrebbero avere) l’aspetto fisico di un venticinquenne.
Voto: 6. Appena sufficiente. Da vedere? Bah, non vi siete persi niente, se non l’avete visto.
La locandina americana è molto più affascinante.
La scheda di IMDb.com, quella di Cinematografo.it e quella di MyMovies.it.