La grande bellezza

La grande bellezza

di Paolo Sorrentino (Italia, 2013)
con Toni Servillo, Carlo Verdone, Serena Grandi, Pamela Villoresi,
Galatea Ranzi, Carlo Buccirosso, Iaia Forte, Isabella Ferrari,
Sabrina Ferilli, Giorgio Pasotti, Antonello Venditti, Massimo Popolizio,
Luca Marinelli, Ivan Franek, Lillo Petrolo, Giusi Merli, Vernon Dobtcheff,
Roberto Herlitzka, Fanny Ardant, Dario Cantarelli, Giovanna Vignola

Inizio col dire – a scanso di equivoci – che il mio giudizio su questa pellicola è sostanzialmente positivo.
Ciò detto, mi si lasci esprimere comunque tutte le perplessità che pure sono emerse durante la visione.

Jep Gambardella ha appena compiuto 65 anni. Mentre la sua vita sta volgendo al termine, si rende conto con grande rammarico di non aver concluso nulla di realmente significativo. È un giornalista di origini campane che vive a Roma da circa 40 anni. Dorme (male) di giorno e vive di notte. Ha scritto un solo libro di successo da giovane, ma poi non è riuscito a portare null’altro alle stampe. Non ha mai avuto bisogno di denaro per vivere. Scrive per un giornale importante, ha un eccellente stipendio (supponiamo) e pare avere ottimi rapporti con il suo direttore. Riesce anche a fare delle interviste senza risultare a tutti i costi banale. Eppure non è felice. Il suo personaggio è la pura incarnazione della mollezza esistenziale. Trascorre le sue giornate passando da una festa all’altra, da un evento mondano a una cena, da un buffet a un cocktail, ecc. La sua intera vita è pura mondanità. Voleva essere il cuore delle feste e ci è riuscito. Ma è il suo cuore a non essere appagato. E nemmeno la sua mente. Quando viene a sapere che il suo grande amore giovanile (una biondina incontrata al mare con cui ha perso la veriginità) è morto, il meccanismo si inceppa: non riesce più a fregarsene di tutto e di tutti. Detto in una sola frase: Jep è un vecchio indolente che ha finito per odiarsi.

“La grande bellezza” – lo ribadisco – è un gran bel film, ma ciò che non va è questo inutile tentativo di voler trasmettere a tutti i costi messaggi esistenzalisti allo spettatore. Perché filosofeggiare così tanto? A che pro? Sembra quasi che gran parte dei dialoghi sia stata presa da una raccolta di aforismi.
In molti in questa pellicola – che riporta sul grande schermo la vita mondana che si fa nei salotti buoni romani – hanno letto un omaggio a (e un sequel de) “La dolce vita” di Fellini. A me, più che altro, in un paio di passaggi questo film ha ricordato quel capolavo de “La terrazza” di Scola. Soprattutto quando il protagonista vomita in faccia a una sua amica (?) tutte le bugie che questa racconta a se stessa e agli altri e tutte le ipocrisie che dominano l’ambiente che frequentano.
Altro elemento negativo: il soffermarsi eccessivamente su scene che, anche se durassero la metà del tempo, sarebbero ugualmente comprensibili ed efficaci. Si veda, ad esempio, tutta l’introduzione, ossia la grande festa organizzata su una terrazza che si affaccia su Via Veneto. Oppure si veda il tour che Jep, la sua amica Ramona e il misterioso giovane con gli occhiali (Giorgio Pasotti) fanno di notte in un bel po’ di palazzi signorili romani.
Anche tutta la parte sulla suora anziana in odore di santità (la simil-Madre Teresa di Calcutta) a me è sembrata del tutto inutile, irrilevante, superflua. Il film sarebbe potuto terminare anche 20 minuti prima senza alcun problema di trama.
Sia come sia, la scena più divertente – perché perfidamente contemporanea – è quella in cui, dopo averci fatto sesso, la ultra-quarantenne Orietta (Isabella Ferrari) chiede a Jep se vuole vedere le foto che ha pubblicato su Faebook, quei suoi autoscatti che i suoi amici dicono siano “molto belli”.

Toni Servillo è bravo. L’abbiamo capito. Ci piace e lo stimiamo. Ma Sorrentino deve smetterla di prenderlo come protagonista. Alla lunga questo sodalizio potrebbe diventare deleterio per entrambi. Anche se, va detto, in questo caso l’eta di Jep e la faccia di Servillo combaciano alla perfezione.
Carlo Buccirosso interpreta un personaggio incredibilmente simile a quello che recitava ne “Il divo”. Lì era Cirino Pomicino, qui presta il corpo a Lello Cava: un ricco venditore di giocattoli, cinico e pessimista, che presenzia costantemente a tutti gli eventi in cui bazzica anche Jep. Dunque sembra quasi che Sorrentino stia iniziando a ripetersi.
Carlo Verdone fa tanta tenerezza e ispira infinita empatia. Il suo ruolo è quello dello sceneggiatore sfigato che non riesce ad essere se stesso, né a portare un suo copione in scena. È il migliore amico del protagonista. Lo segue ovunque in quanto lo idolatra. Particolare tanto ridicolo quanto amaro: nonostante abbia più di 50 anni, vive ancora in una stanza in affitto in una casa di studenti.
A Sabrina Ferilli hanno dato il ruolo di Ramona, la spogliarellista/marchettara figlia di un titolare di strip club (i celeberrimi night che si trovano da sempre nelle traverse di Via Veneto). Sarà forse l’unica donna per cui Jep proverà un sentimento sincero, qualcosa che, se non è amore, sembra quantomeno disinteressata amicizia.
Deliziosissima la scena in cui una specie di santone/confessore/chirurgo – straordinariamente interpretato da Massimo Popolizio – inietta botulino nelle facce dei ricconi in trepidante attesa (con il numeretto dell’eliminacode in mano).
Galatea Ranzi non è tra le mie attrici preferite. Mi è sempre stata poco simpatica, eppure devo ammettere che in questo caso è perfetta per il ruolo della sinistroide borghese, che guarda tutti dall’alto in basso perché crede di aver vissuto la sua vita seguendo altissimi ideali. Ha recitato straordinariamente. Stessa cosa dicasi per Pamela Villoresi.
Immensa stima per Serena Grandi. Nonostante in passato abbia avuto problemi con la giustizia per questioni di droga, in questo film interpreta una ex soubrette buzzicona che si è ridotta ad uscire dalle torte di compleanno e che pippa cocaina a fiumi durante i party. Verrebbe quasi da dire che fa se stessa.
Iaia Forte ha il ruolo della moglie di Lello Cava.
Lillo (di Lillo e Greg) appare in poche scene nei panni di un cattivissimo mercante d’arte che costringe una ragazzina (un astro nascente della pittura) a dipingere di malavoglia – urlando e piangendo – attraverso lo scaraventamento di lattine di vernice su una grande tela.

Domanda da ingenuo: ma quanto avrà speso la produzione per accedere e girare in così tanti palazzi e luoghi d’arte della Capitale?
Notevole la colonna sonora. I pezzi, come al solito, sono azzeccatissimi per le scene che accompagnano, persino quei due brani house tamarri – “A far l’amore” di Raffaella Carrà remixato da Bob Sinclar e “Discoteca” degli Exch Pop True – che si sentono durante le scene dei party.
Nota di marketing. Il logo Martini è un po’ ovunque durante le scene di festa. Product placement a manetta, certo. Ma sarebbe stato difficile girare la stessa scena, nello stesso luogo, senza riprendere mai la grande insegna luminosa che da decenni svetta su Via Veneto.

Un pensiero che mi gira in testa da tempo: Paolo Sorrentino è un grandissimo regista, uno dei migliori che il Cinema Italiano sia riuscito ad esprimere, è un Dio nel raccontare per immagini. Ecco. Per ottenere il massimo dovrebbe solo lasciare che siano altri ad occuparsi del soggetto e della sceneggiatura. Prenda un bel romanzo e lo porti sul grande schermo. Sono sicuro che saprà trasformarlo in un vero capolavoro.

Se siete curiosi, questa è la locandina per il mercato francese.

La scheda di IMDb.com, quella di Cinematografo.it e quella di MyMovies.it.