È stato il figlio
di Daniele Ciprì (Italia, 2012)
con Toni Servillo, Fabrizio Falco, Alessia Zammitti,
Giselda Volodi, Benedetto Raneli, Aurora Quattrocchi, Piero Misuraca,
Giacomo Civiletti, Alfredo Castro, Pier Giorgio Bellocchio, Giuseppe Vitale
Questo film mi ha deluso un bel po’. Da Ciprì mi aspettavo di più, qualcosa di più divertente, una commedia strampalata e leggera. Invece mi sono trovato di fronte a una pellicola che stenta a decollare. Ha un incipit lento, anzi lentissimo, e non permette allo spettatore di capire quale sia la storia centrale, chi è il vero protagonista, quali gli elementi di contorno e quali invece i dettagli rilevanti.
Ciò detto, rimane il fatto che la storia è alquanto originale e per questo vanno fatti i complimenti a Roberto Alajmo, l’autore del romanzo da cui il film è tratto.
Una famiglia di Palermo molto povera rimane vittima di una disgrazia. Serenella Ciraulo, una bimba di 5 o 6 anni, il membro più giovane della numerosa famiglia, viene assassinata brutalmente in strada – sul piazzale davanti alla palazzina in cui abita – per sbaglio mentre gioca con dei coetanei da un duo di killer, molto probabilmente sicari della malavita organizzata. Il bersaglio dell’agguato forse è Masino, il giovane e strafottente nipote di Nicola Ciraulo (il capofamiglia) ma questo non è chiaro.
I problemi per la famiglia iniziano quando un amico di Nicola, suggerisce alla famiglia di chiedere allo stato un rimborso per la grave perdita subita, facendo ricordo ad una legge che risarcisce i parenti delle vittime di Mafia. I Ciraulo, vessando in condizioni di evidente povertà, decidono di tentare e si affidano ad un avvocato lercio e disonesto. Il rimborso sarà approvato ma il denaro tarderà ad arrivare. Per questo Nicola – tenendo all’oscuro i suoi famigliari – si rivolgerà ad un cravattaro. Eppure non questo il motivo della disgrazia ancora più grande che si abbatterà sui Ciraulo.
Non voglio svelarvi molto ma mi limito a dire che, se non si fa estrema attenzione alle parole del contastorie – che narra la vicenda seduto sulle sedie in legno di un ufficio postale – si ha difficoltà a capire davvero cosa è accaduto.
Passiamo agli attori.
Servillo è incontestabile. Recita sempre bene – anche quando è chiamato ad esprimersi in dialetto siciliano – ma forse questa non è la migliore delle sue performance. Le sue trovate divertono ma in questo caso non sono sufficienti a reggere la struttura di tutto il film.
Interessante invece la recitazione di Piero Misuraca – un giovane riccioluto con lo sguardo alla Riccardo Scamarcio – nella parte di Masino, il giovane boss di quartiere, che a soli venti anni, stufo della condizione di povertà e dei lavori umili e faticosi, si fa strada nella malavita.
Notevoli anche tutti gli altri comprimari, a partire da Giselda Volodi (la mamma), Bendetto Raneli (il nonno) e Alessia Zammitti (la piccola Serenella).
Fabrizio Falco mantiene un’espressione stolida per tutto il film. In parte, eh, per carità. Però boh, non mi ha convinto.
Alfredo Castro fa il cantastorie flemmatico. Pure troppo flemmatico.
Attenzione al monologo finale dell’anziana Aurora Quattrocchi. Capolavoro.
Voto alla pellicola: 5 e mezzo. Non ha sufficientemente divertito questo spettatore.
La scheda di Cinematografo.it e quella di MyMovies.it.