Manhunter – Frammenti di un omicidio
(Manhunter)
di Michael Mann (USA, 1986)
con William Petersen, Dennis Farina, Brian Cox,
Tom Noonan, Joan Allen, Kim Greist, Stephen Lang
La locandina italiana, al solito, è molto fuorviante.
Manhunter racconta la storia di una caccia all’uomo – vero – ma non si tratta di un superthriller splatter, né tanto meno di un horror. Un po’ di tensione c’è – a dirla tutta – ma la costruzione della suspance fa un po’ ridere, se si guarda questo film con gli occhi di uno spettatore del 2012.
In seguito ad un grosso trauma, Will Graham, un consulente psicologo della polizia – quello che adesso chiameremmo “profiler” – si è ritirato a vita privata. Vive in una grande casa sulla spiaggia con sua moglie Molly e i suoi bambini. Un giorno, all’improvviso, un collega – lo sbirro Jack Crawford – va a trovarlo e gli chiede di riprendere a lavorare perché ha bisogno del suo aiuto per catturare un serial killer molto pericoloso che trucida intere famiglie nelle notti di luna piena. Si tratta di un compito difficile, oltre che delicato, e psicologicamente anche molto provante, peraltro da svolgere in poco tempo: i nostri hanno pochissimi giorni per scovare il pazzo assassino prima che arrivi un nuovo plenilunio.
Sebbene combattuto sulla scelta da fare – e contrariamente all’opinione di sua moglie, Will decide di iniziare a lavorare al caso e di farsi dare una mano proprio dall’ultimo killer che ha contribuito a catturare e che gli provocò il grande trauma: il dott. Hannibal Lecktor. Non fatevi trarre in inganno dalla cattiva grafia. Si tratta proprio di quell’Hannibal Lecter: lo psichiatra cannibile protagonista de “Il silenzio degli innocenti”. In un certo senso, dunque, potremmo considerare questo il primo film della saga del “Dragone Rosso”.
Fa specie vedere William Petersen così giovane e in panni diversi da quelli che veste in C.S.I. Miami – ossia Grissom. Peraltro così ricciolino – e molto più magro dell’investigatore scientifico ciccio/armadio – non è nemmeno tanto credibile come mente in grado di stanare la mente malata di un maniaco squartatore.
I baffi di Dennis Farina parlano da soli. Quando inquadrati, sono protagonisti della scena. Figura di secondo piano ma esteticamente molto caratteristica. Sostanzialmente un poliziotto buono – di origini chiaramente italiane, con capigliatura sale e pepe – ma che non alza un dito. Fa fare tutto agli altri, a partire da Graham.
A Tom Noonan il compito di dare il volto all’altissimo picchiatello sadico.
La ragazza cieca che con il suo ingenuo sentimento quasi riesce a redimere il violento killer è interpretata dalla bionda Reba McClane.
Stephen Lang è il giornalista cretinetti: un tizio che si occupa di cronaca nera ma non ha la minima idea di quale rischio corre mettendosi a scrivere di questo sadico killer.
Nei panni della moglie di Will Graham, invece, troviamo Kim Greist.
Perché guardare questo film: perché vi piacciono le location, gli abiti, l’estetica di Michael Mann. Qui siamo in piena epoca Miami Vice e si vede. La splendida fotografia è di Dante Spinotti.
Perché non guardarlo: perché forse “Il silenzio degli innocenti” è un thriller migliore. L’interpretazione del folle colto e scaltro è venuta meglio ad Anthony Hopkins, ma anche Brian Cox non se la cava affatto male, dopo tutto.
La scheda di IMDb.com, quella di Cinematografo.it e quella di MyMovies.it.