ACAB – All Cops Are Bastards
di Stefano Sollima (Italia, Francia, 2012)
con Pierfrancesco Favino, Marco Giallini,
Filippo Nigro, Domenico Diele, Andrea Sartoretti, Roberta Spagnuolo
Ok. Andiamo per ordine. Concetti semplici. Mi è piaciuto? No. Perché? L’ho trovato fascistoide e senza una storia forte. Mi verrebbe quasi da dire che la trama non c’è, per quanto è deboluccia e prevedibile.
Il film è stilisticamente valido? Sì. Ha ritmo, certo (anche se nella prima metà non succede quasi nulla) ma non basta. Sollima è bravo e fuori discussione. Peraltro, dirigendo la serie tv “Romanzo Criminale”, l’ha già ampiamente dimostrato e qui non fa altro che confermarlo. Dal punto di vista tecnico e narrativo le cose funzionano. Il problema è che c’è poco da raccontare. Che le forze dell’ordine siano inclini al cameratismo, al nonnismo, al razzismo, all’ideologia reazionaria – persino alla violenza – è cosa nota. Niente di nuovo sotto il sole, dunque. Certo il cinema e la tv italiana non la raccontano così spesso questa realtà, per cui va dato atto a questa produzione di aver toccato un tema importante e difficile da trattare, cioè di averci provato. Ma della riuscita dell’operazione, ecco, non sarei così entusiasta.
Un amico che ha visto con me il film ha giustamente fatto notare come questo possa essere quasi considerato un documentario più che altro. Sollima cioè si limita fotografare una situazione, delinea delle figure ma non le fa evolvere, non sviluppa un racconto su queste vite. I profili di questi poliziotti della sezione celere di Roma sono solo accennati ma non approfonditi. Cinque storie iniziano a correre parallele ma si arrestano subito e in maniera strana, si incrociano poco, non raccontano un percorso, non analizzano nulla.
Ma torniamo all’approccio fascistoide. Io non credo che chi racconti debba necessariamente sposare quello l’idea o l’ideologia che racconta. Anzi, sarebbe gravissimo se così fosse. Però ho notato un certo compiacimento nel tracciare questi profili di uomini violenti, nel constatare come siano quasi vittime del sistema, costretti a usare violenza perché stretti tra due fuochi: la violenza di strada e degli ultras, da una parte, e lo stato assente e colpevolmente incapace di dare risposte, dall’altra.
Oggi ho letto un dibattito in rete a proposito di questo film e mi sono trovato d’accordo con chi ci intravede un “cinema fascista italiano di qualità”.
Non credo invece che la pellicola sia equilibrata, non credo che contenga allo stesso tempo batteri e anticorpi dell’ideologia destrorsa. Anzi. Mi appare completamente sbilanciato dalla parte della violenza necessaria, dell’approccio reazionario come sola via. In questo concerto l’unica nota stonata – se così possiamo chiamarla – l’unica voce contraria è quella dell’ultimo arrivato del gruppo, del giovane Adriano Costantini (bene interpretato da Domenico Diele), il cui ravvedimento – peraltro tardivo – rappresenta il seme della sanità, la speranza delle nuove generazioni; insomma è un po’ come se chi racconta volesse dirci che non tutto è perduto, che il corpo della Polizia (e le forze dell’ordine più in generale) non è completamente marcio, che ancora qualcosa di buono da salvare ci sia e su questo qualcosa vada risposta fiducia. Mah. Permettetemi di essere scettico. A me questa soluzione pare una specie di contentino, una piccola e semplice (semplicistica) soluzione, messa lì per far sì che le inevitabili polemiche sulla pellicola si riducano almeno un po’.
Sia come sia, agli attori va riconosciuta comunque grande professionalità.
In particolare a Marco Giallini (che io stimo da anni) che qui troviamo nel ruolo del poliziotto più anziano, quello severo ma un filo più riflessivo – soprattuto a seguito del suo accoltellamento. La sua è una faccia che dice molto: sa assumere un’espressione severa e riflessiva. In una parola: intenso.
Eccezionale performance anche per Favino che intepreta il celerino estremamente violento e iperfascista, che si trova sotto inchiesta per diversi casi in cui si è lasciato prendere la mano durante il servizio d’ordine allo stadio.
Andrea Sartoretti è straordinario. Lo ricordate come “Bufalo” nella serie “Romanzo Criminale”? Per interpretare Carletto (un ex poliziotto cacciato dal corpo a causa di insubordinazione) è dimagrito molto e ha tagliato i capelli, per cui inizialmente è quasi irriconoscibile, ma la sua cifra stilistica è ormai nota. Recita sapientemente, il suo è un personaggio difficilissimo: una scheggia impazzita ai limiti dell’anarchia selvaggia, un violento disilluso dai principi di ordine e autorità. Bravissimo.
Filippo Nigro non mi è mai piaciuto. Ma qui – va detto – se la cava abbastanza bene. Interessante la scena in cui va a protestare in solitaria davanti all’ingresso del Parlamento perché un giudice gli impedisce di trascorrere del tempo con sua figlia.
Tornando sul messaggio veicolato dal film, vorrei anche segnalare che tutti gli stranieri presenti sono portatori di valori non propriamente positivi: ci sono degli slavi che minacciano la gente pur di ottenere l’elemosina, un’istruttrice di danza ex prostituta, ecc. I politici invece sono rappresentati solo come opportunisti. Lo Stato è assente e vigliacco. Di contro gli uomini che scendono in strada a mantenere l’ordine costituito sono fratelli – si supportano a vicenda, soffrono tanto ma resistono perché sono forti. La loro forza scaturisce dalla coesione. Ditemi voi adesso se non è epica fascista questa. Li vediamo approfittarsi della loro posizione, della divisa, del distintivo, ma il ritratto che si fa di loro è quello di vittime costrette a comportarsi in quel modo, di uomini probi che, pur se abbandonati dalle istituzioni, sopportano con coraggio e abnegazione le ingiustizie del mondo che li circonda.
Altra riflessione: i ragazzini che vedranno il film si identificheranno con i celerini vendicativi e violenti? Certo. Io ci scommetterei. D’altronde la chiave è già tutta nel titolo: ACAB, l’acronimo inglese per “All Cops Are Bastards”, ossia “tutti i poliziotti sono bastardi”. Un gioco infido tutto basato sulla doppia valenza dell’aggettivo. In Italiano con “bastardo” ormai si indica qualcuno che ha fatto qualcosa di male, una persona malvagia, cattiva, feroce. Il significato di “mancanza di genitori” è ormai quasi scomparso del tutto. Ma attenzione: la parola ha anche una certa connotazione pseudo-positiva quando indica ammirazione più o meno latente nei confronti di un essere spietato ma vincente. Non dimentichiamolo.
Un personaggio secondario, anzi una comparsa che interpreta un ragazzo di strada ha tatutato quest’acronimo sul collo. Per dire.
Nota: questo film è basato sull’omonimo romanzo di Carlo Bonini.
La scheda di Cinematografo.it e quella di MyMovies.it.
Ho avuto modo di vedere ACAB ieri sera. Confesso che ho rimpianto di aver letto questa recensione prima di vedere la pellicola, perché inevitabilmente il mio approccio ne è stato un po’ condizionato. Devo però anche dire che proprio questa recensione mi ha dato degli spunti su cosa cercare nel film, e il risultato è che tutto sommato non credo fosse, nell’intento del regista, quello di “fornire necessariamente dei batteri”.
In fondo il film – molto ben fatto – è una full immersion nel mondo del reparto celere delle forze dell’ordine (non più malato del resto del mondo), e credo che – all’interno dei vari esempi o delle singole storie presenti nella pellicola – il messaggio più marcato sia quello di sottolineare la violenza inaudita comune a molte persone di quel mondo. Non a caso l’esempio del ragazzo che molla rappresenta solamente una piccola eccezione ai tanti che gli danno dell’infame.
al prossimo film ;-)