Una vita in più
di Antonella Boralevi
2010, Rizzoli
18 Euro, 301 pagg.
Ho cercato di leggere questo romanzo senza pregiudizi, cioè senza pensare per tutto il tempo che si trattasse di un libro per “donnette”. Scusate il termine. So che può suonare offensivo – e infatti credo che lo sia – ma d’altronde si tratta di un pregiudizio. Ma lo dico sinceramente: non so se sono riuscito a non farmi condizionare dall’immagine che avevo (che ho) dell’autrice. Non si tratta di odio o disprezzo nei confronti della Boralevi. La conosco anche poco per farmi un’idea precisa su di lei ma, semplicemente, non è tra i miei autori di riferimento. Non mi incuriosisce, non mi stimola. Fatto sta che caparbiamente ho voluto arrivare sino alla fine di questo libro, ho deciso comunque di leggerlo sino in fondo. Lì per lì mi è anche sembrato avvincente. Poi ho cambiato idea.
Roma, anni 2000. Una coppia di omessuali formata da Ernesto Diotallevi (un professore universitario di mezz’età che si occupa di matematica pura) e Michele (un suo ex-studente molto giovane e molto avvenente) decide di avere un figlio attraverso l’inseminazione artificiale. Per affittare di un utero i due si rivolgono a una coppia di origini sudamericane che vive negli Stati Uniti. Ma quando Ernesto si reca a New York per prendere in affidamento il neonato i piani cambiano. Alla vista del bambino, infatti, Ernesto si rende conto improvvisamente di non essere in grado di svolgere il ruolo di padre. La paternità sembra non essere fatta per lui. D’istinto perciò affida il pargolo alla prima persona che gli capita davanti: Lola, un’orfana diciasettenne di origini italiane (probabilmente siciliana) che fa le pulizie nell’ospedale in cui è nato il bambino. Questa giovane molto ingenua e alquanto ignorante sembra essere la balia perfetta per José (questo il nome scelto per il bambino), solo tra le sue braccia, infatti, il piccolo non piange ma riesce a dormire beatamente. Nel giro di un paio di giorni, dunque, Ernesto decide di lasciare José a New York in custodia a Lola, sotto la sorveglianza di un avvocato di fiducia che farà anche da tramite per il versamento dei mezzi economici per il sostentamento del piccolo e di ritornare a casa, a Roma. Le cose comunque a casa non vanno bene. La relazione con Michele è terminata definitivamente (proprio a causa di questa specie di adozione), la felicità dei giorni passati insieme è svanita, lasciando un doloroso vuoto nel cuore del professore. Così, pentito di aver preso una decisione troppo affrettata, Ernesto torna a New York con l’intento di riportare a casa José e la sua balia. Sulla strada non incontra alcun ostacolo ma il ritorno a casa non è come se l’era immaginato. La freddezza nei confronti del piccolo e della ragazzina che ha preso in custodia continua, nonostante ormai vivano tutti sotto lo stesso tetto.
A dirla tutta, ciò che ho trovato poco interessante – e un po’ noioso – è l’eccessivo buonismo che traspare dalla scrittura. In fondo in fondo tutti i personaggi sono persone con qualità positive. Il professore è burbero, distaccato, impulsivo ma anche calmo, impacciato, innamorato e vulnerabile. Michele è uno stronzo insensibile, pieno di sè, ma allo stesso tempo è bello, fascinoso, giovane, pieno di vita, ecc. Lola è ignorante e ingenua ma, allo stesso tempo, anche dolce, materna, generosa, incapace di giudicare il prossimo con cattiveria, ecc. La domestica è anziana, scontrosa e gelosa ma cova anche sentimenti materni nei confronti di Michele. I barboni sono puzzolenti e ma anche gentili e premurosi. I nomadi sono violenti ma mai del tutto pericolosi. Il giovane arabo ruba ma solo per amore e per sopravvivere, seduce una ragazzina ma solo perché è realmente innamorato. Ecco, ripeto: io tutto questo l’ho trovato scontato e anche banale, oltre che buonista.
Voto: 5 e mezzo. Di poco sotto la sufficienza. Alla fine il romanzo si legge, non posso proprio dire che annoi il lettore. Ma forse 300 pagine sono un po’ troppe per questa storiella che si può anche raccontare ai tavolini di “Piazza Italia” in soli 5 minuti.
Disclaimer: questo libro mi è stato inviato da un’amica che mi ha chiesto di recensirlo. Si tratta di una specie di regalo, insomma.