Americani
(Glengarry Glen Ross)

di James Foley (USA, 1992)
con Al Pacino, Jack Lemmon, Alec Baldwin,
Alan Arkin, Kevin Spacey, Jonathan Price, Ed Harris,
Jude Ciccolella, Paul Buttler, Neal Jones, Lori Tan Chinn

Pellicola tratta da un testo teatrale di David Mamet. Lo si capisce subito. “Americani” è un film girato al 90% in interni e tutto incentrato sui dialoghi, serratissimi e calibrati al millimetro.
Shelley Levene, Ricky Roma, George Aaronow e Dave Moss sono quattro agenti immobiliari che lavorano per la Rio Rancho Estates. A dirigerli c’è John Williamson. Una sera, quasi all’improvviso, nel loro ufficio si presenta Blake, una specie di manager motivatore mandato dai titolari della catena di agenzie immobiliari. Blake è uno sbruffone maleducato, un cinico, un duro senza peli sulla lingua che, anziché spronare gli agenti, li insulta e comunica loro che presto si ritroveranno disoccupati, se non miglioreranno le loro performance di vendita. Il solo obiettivo della sua visita è quello di avvisarli che la società ha indetto una gara: il migliore agente del mese, il primo classificato, quello che è riuscito a far firmare contratti con il valore più alto, vincerà una lussuosa auto – una Cadillac – al secondo in regalo un inutile set di coltelli da bistecca. Gli altri due, gli ultimi classificati, saranno “out”, scaricati. Fuori dall’agenzia. Così, in men che non si dica, la già difficile situazione in cui versavano gli agenti si trasforma in catasfrofica. Le vendite sono ferme da tempo, i contratti non si firmano, i contatti di cui dispongono i venditori sono di scarsa qualità e sono sempre gli stessi da mesi. Levene, Aaronow e Moss sono nervosissimi, non sanno che pesci pigliare, capiscono di trovarsi in una situazione rischiosissima. Roma è l’unico che se ne frega. Anziché partecipare alla riunione con Blake, se ne è stato per tutto il tempo nel ristorante cinese che si trova di fronte all’agenzia a bere whiskey e a chiacchierare con un poteziale facoltoso cliente. A Roma le vendite sembrano andare a gonfie vele, un po’ perché pare sia bravo, un po’ per fortuna. Lo si capisce dalla prima inquadratura che è uno yuppie, un cinico rampante che pensa solo a vendere vendere vendere, che se ne frega di tutto e di tutti. Difatti era il primo della classifica ancor prima che il concorso venisse indetto.
La situazione comunque è drammatica: Moss è sull’orlo di una crisi di nervi, urla e inveisce contro tutti, Aaronow si sente inutile e infruttuoso, teme di perdere il posto ma non sembra avere la forza di agire, Levene invece, che è il più vecchio di tutti è al verde, è sull’orlo del suicidio: ha problemi anche con una figlia ricoverata in un ospedale, sa che potrebbe essere il primo a perdere il posto di lavoro, anche se è un veterano dei venditori.
La notte è lunga ma passa. Il mattino dopo si scopre che l’agenzia è stata derubata. I ladri hanno portato via i telefoni, dei documenti ma soprattutto il pacchetto di contatti, quelli nuovi, quelli buoni e preziosi che valgono oro, che sarebbero facilmente convertibili in grossi contratti firmati. Chi guarda, lo spettatore, non è certo del colpevole, non sa chi ha fatto il furto ma ha visto che Moss e Aaronow la sera prima, al bar, avevano parlato a lungo di quel colpo. Non vi svelo altro per non togliervi il piacere della parte più interessante della pellicola ma sappiate che non è tutto così semplice come sembra. Non sempre quelli che stanno in testa arrivano primi. Saranno proprio le parole – le vere protagoniste del film – a smascherare i colpevoli del crimine.
Il cast è di primissimo livello.
Pacino, abbronzato e pettinatissimo, interpreta il vanesio e scaltro Richard “Ricky” Roma.
Jack Lemmon veste i panni del vecchio venditore, quello che un tempo tutti rispettavano perché in gamba e pieno di esperienza. Il tempo su di lui sembra aver fatto solo danni. È un anima in pena, solo e senza una dollaro, non riesce a stringere contratti in alcun modo, si ritrova sull’orlo del baratro, in preda al panico, a chiedere un pietoso aiuto a Williamson, il giovane capufficio saputello che ha meno della metà dei suoi anni. Grande interpretazione che gli è valsa una Coppa Volpi a Venezia come “Migliore attore”.
Ad Alan Arkin hanno dato il ruolo di Aaronow, lo smidollato. Un uomo di mezza età per cui il lavoro è tutto ma che non è più in grado di operare proficuamente. Non è un leader, non riesce a raggiungere alcun tipo di successo, si sente inutile e teme fortemente di perdere il posto di lavoro.
Ed Harris è il venditore più giovane. Ha tanta foga in corpo. Vorrebbe dominare il Mondo ma si stente frustrato. Si crede un ganzo ma sa solo sbraitare. Urla troppo e pensa poco. Eccessivamente ambizioso, talmente arrabbiato che potrebbe finire col farsi del male da solo. Praticamente una mina vagante.
Kevin Spacey fa la parte del precisino, del capufficio insensibile, che esegue solo gli ordini dei capi, cancellando del tutto i sentimenti che lo potrebbero portare a provare un briciolo di umanità nei confronti dei suoi colleghi in difficoltà.
Alec Baldwin è la iena. Il bufalo che urla insulti all’indirizzo dei venditori, che li umilia, li minaccia. Un motivatore capace solo di generare panico e competizione tra i dipendenti.
Bravi tutti, davvero. Una squadra da 10 e lode.
Grande performance anche per Jonathan Price, qui nei panni di un allocco che finisce nelle grinfie di Ricky Roma. Un compratore che la sera prima si fa abbindolare e la mattina dopo vuole ritrattare tutto. Che prima firma un contratto e poi, sotto minaccia di sua moglie, torna in agenzia a piagnucolare, alla disperata ricerca di annullare il documento.
Nota: sinceramente non ho capito perché per la versione italiana si sia scelto il titolo genericissimo di “Americani”. Come se i venditori di immobili esistessero solo negli Stati Uniti. Bah!
Voto globale alla pellicola: 7 e mezzo. Da vedere se vi piace il cinema in cui si recita sul serio.

La scheda di IMDb.com, quella di Cinematografo.it e quella di MyMovies.it.