La prima linea

di Renato De Maria (Italia, 2009)
con Riccardo Scamarcio, Giovanna Mezzogiorno,
Dario Aita, Fabrizio Rongione, Michele Alhaique, Claudia Coli,
Jacopo Maria Bicocchi, Angelo Campolo, Francesca Cuttica,
Lucia Mascino, Anita Kravos, Marco Iermanò, Franco Demaestri

Mi spiace per De Maria ma questo film non entusiasma. Anzi, parlo per me: non mi ha entusiasmato.
“La prima linea” racconta in prima persona, attraverso le parole del protagonista (Sergio Segio), la storia dell’omonimo gruppo terrorista rosso. La formazione, gli inizi, la salita e la discesa di quel movimento giovanile di estrazione popolare che, tra la seconda metà degli anni ’70 e i primi anni ’80, si è battuto in Italia per la rivendicazione dei diritti degli operai e dei lavoratori sfruttati in generale. La chiave di tutto il film è la presa di coscienza del protagonista, il senso di vacuità e di perdita del senso della lotta che investì ad un certo punto i militanti del movimento, ossia la disamina del momento in cui questi, dal rappresentare e farsi portavoce del malcontento della classe operaia, si trovarono isolati a combattere una guerra fine a se stessa, auto-costretti in una spirale di odio e violenza che praticamente aveva perso del tutto i tratti ideologici e idealisti dei primi anni.
Il racconto inizia con l’arresto del protagonista, con la sua dichiarazione di colpevolezza, la presa di coscienza davanti al pubblico e con il conseguente racconto di come andarono i fatti. Tutta la vicenda è un alternarsi di flash-back e flash-forward tra l’atto finale del movimento (la liberazione di alcune militanti del gruppo dal carcere di Rovigo – 3 Gennaio 1982) e il racconto dei primi anni, quelli della formazione del movimento e dell’innamoramento tra il protagonista e una compagna/combattente – tale Susanna Ronconi di Venezia.
Ok. Il film non è un capolavoro. Spesso mi ha annoiato. L’ho guardato a pezzi, in un continuo stop & go. Però devo ammettere che qualcosa di buono c’è.
Primo: Riccardo Scamarcio è migliorato notevolmente davanti alla macchina da presa. La recitazione drammatica inizia ad essere sul serio nelle sue corde. Questo è il suo personaggio migliore mai portato sul grande schermo. Forse anche meglio nel Nero in “Romanzo Criminale”, dove invece aveva avuto poche scene per esprimere il suo talento.
Secondo: Giovanna Mezzogiorno è meno isterica del solito. Grida in una sola occasione. Da non crederci. Anche in questo caso il suo personaggio, Susanna, è di una pesantezza quasi insostenibile ma è forse questo che le si chiedeva, questo che si pretendeva per l’interpretazione di una terrorista tosta ed intransigente.
Terzo: la bravura di tutti i comprimari. Attori giovanissimi: tra i 25 e i 35 anni. Recitano discretamente, possono andarne fieri, anche se i loro personaggi spesso non sono stati ritenuti degni nemmeno di ricevere un nome e un cognome.
Quarto: in tutta la storia ci ho trovato poca retorica. L’analisi del movimento, delle ragioni che spingevano quegli uomini (quei ragazzi) ad agire, a compiere della violenza inaudita, mi è sembrata lucida e soprattutto verosimile. Insomma, realistica, poco romanzata. E questo, alla luce di quanto la fiction italiana sia mediamente iper-farsesca, non è poco.
Voto globale per il film: 6 meno. Sufficienza risicata.

Nota: questa pellicola è liberamente ispirata al libro “Miccia corta” dello stesso Sergio Segio.

La scheda di Cinematografo.it e quella di MyMovies.it.