Come ogni Natale – diciamo pure “feste di fine anno” per gli atei, gli agnostici, i non praticanti, ecc – anche quest’anno, come ogni anno, come avviene ormai dal 2003, quel sant’uomo del Sir Squonk ha compilato il PSlA (Post Sotto l’Albero): una raccolta di scritti, post, foto, aforismi, pensieri – e quant’altro – donati da diversi blogger. Non se ancora si possa usare questa definizione, perché molti degli autori non hanno più un blog, non ne hanno mai avuto uno, hanno solo un profilo in qualche social network… ma poco importa. Insomma il Sir ha dei contatti, ogni fine novembre chiama a raccolta queste sue conoscenze e chiede loro di donare qualcosa, un pezzo di sè al fine di compattare questa specie di “balla ecologica” dell’egocentrismo. Diciamo autostima, dai (per non offendere gli animi più sensibili).
Domenica scorsa è stata pubblicata online ufficialmente l’edizione 2009. Il file potete scaricarlo da qui (108 contributi, 164 pagine, 6,6 mega di pdf) E com’è, come non, quest’anno ci sono anche io tra gli sciagurati contributori. Era accaduta la stessa cosa anche l’anno scorso.
Il mio contributo è qui sotto.
Ventiquattrore senza fondo
Ecco qui. Finito. Un altro anno che se ne va. Ah, che bella comodità. Domani è il 24. Tra una settimana sarà annonuovo. Mah.
Dice che bisogna tirare le somme, di che poi? Boh. Io quest’anno mi faccio un regalo. Mi compro una bella valigia. Non mi serve ma chi se ne frega. Non vedo da nessuna parte ma chi se ne frega. Non vado mai da nessuna parte ma ho sempre desiderato avere una ventiquattrore, una bella valigia rigida di pelle, pratica, piccola, comoda. Nera la voglio, di pelle. Come quelle che si vedono nei film delle spie. Quelle valigie con doppio fondo dove puntualmente nascondono del denaro. Io non ho denaro. Che parolona! Ho dei soldi. Neanche tanti. Se li metto tutti insieme non ci faccio nemmeno una mazzetta. Quelle belle mazzette tutte nuove che vedi solo nei film. Che figura ci farebbero in una ventiquattrore? E poi in banca, che dire? Che vergogna! Cosa chiedere al cassiere? “Mi dia tutto. Me lo dia in belle banconote nuove da 100 Euro”. Che stronzata. Taglio troppo grande. Di taglio piccolo si prendono. Non ho imparato nulla in tutti questi anni. Non ho riscatti da pagare. Ed è pure una fortuna, vorrei ben vedere! Qui ho solo una bolletta del gas di settembre/ottobre, scaduta, da pagare. Per fortuna che sono solo 24 euro. Per fortuna mangio fuori. Cioè per sfiga. E’ una fortuna che non spreco molto gas ma è una bella sfiga mangiare fuori il più delle volte, a cena, da solo, in quelle tristi bettole da due soldi, dove ti sentiresti solo anche in compagnia di una comitiva di 23 festanti chitarristi di Mariachi.
Domani vado in quel negozio di casalinghi all’angolo, prendo un bel vestito da Babbo Natale in poliestere e mi presento a casa dai miei. Una bella sorpresa. Uno scherzo da cretino. Devo smetterla di pensarci. Sono 5 anni, 4, che non vado più a casa dai miei. Non c’è più un “casa” e forse non ci sono più neache dei “miei”. Quest’automatismo deve scomparire, maledettammé! Ci penso sempre come ancora dovessi andarci. Se sapessero dove vado, perché ci vado… Perché ci vado? Intanto me ne vado. Cambio per cambiare, come se non lo sapessi.
Quando mi sono seduto qui che ore saranno state? Le otto e venti? Le 20.20. Sono le 23.15. Quasi tre ore seduto sul ‘sta poltrona. Mi saranno venuti i calli al culo, mi saranno! Non mi sono neanche acceso una sigaretta. Quegli stronzi del ristorante cinese si sono dimenticati o il ragazzetto coglione delle consegne avrà sbagliato indirizzo. Oh, questi sbagliano sempre a scrivere, sempre a capire, sempre a trascrivere. Ma dico io, fatevi fare lo spelling dal cliente! Scrivete al pc, stampate e vedete se vi sbagliate. Usate le mappe online. Non dico molto, andrebbe bene anche un Tuttocittà dell’87, che Pescara non è mica cambiata così tanto negli ultimi 22 anni. Cazzo! Non il centro, ma nemmeno la periferia. Chiedete il civico, il numero della scala, l’interno, il piano. Dai, lo saprebbe fare meglio un bambino. Un bambino italiano. Poi dice che uno non deve essere razzista! L’Italiano non lo vuoi capire. Se me lo chiedi ti spiego con calma, ripeto anche. Piano, cerco di farmi capire. Chi ti dice di no. Ma se alla prima risposta fingi di aver capito e trascrivi su di un foglietto quelle tre sillabe che credi di aver capito e le trascrivi male, beh allora non ci siamo.
Devo stare calmo. Che m’incazzo a fare!? Tanto a quest’ora non verranno più. Non verranno nemmeno se li richiamo. Staranno già chiudendo il ristorante. I miei noodles saranno belli che freddi. Li avrà mangiati un gatto se il ragazzetto li ha mollati sulla soglia di qualche casupola a piano terra. Chissà se ce la faccio a passare la notte senza aver mangiato. Non devo pensarci. Se non ci penso non avrò fame. Funziona così, no? L’ho letto da qualche parte. Forse su Focus. Boh, chissà. Adesso poi ci starebbe bene una bella birra fresca, non ghiacciata, fresca, che qui siamo a dicembre e c’ho anche i calzettoni di lana ai piedi. Dio non voglia che mi riprenda il freddo, che inizi di nuovo a tremare. Ma figurati se ho una lattina di birra in frigo. Si può essere così stronzi? Mi piace la birra ma non ne compro mai al supermarket. Solo al ristorante o nei fast food. Quando faccio la spesa dimentico sempre di prendere una bella cassa da 24 di Heineken. Che costano poco ma dissetano. La Bud è meglio, che non lo so. Ma mi costa. E non è il caso di spendere soldi a cazzo proprio adesso. Una cinquantina di euro li butterei però in una bella ventiquattrore. La riempio di birre, belle 4 Labatt’s Ice e le porto a casa di Mimmo. Un bel sorpresone. La notte di Natale. Il ventiquattro sera. Alle 20.30 in punto mi presento. Loro che mangiano torroni, panettoni e quelle cagate tradizionali. Io invece porto 4 belle birrozze. In controtendenza. Voglio vedere la faccia che fanno. Se ci fossero anche Tonio e Maximo sarebbe il massimo. Ma lo so benissimo che Mimmo, il signor Domenico, festeggia il natale con moglie, figlio e suoceri in un appartamentino di 80 metri quadri con vista tangenziale. Zona nuova, per carità. Appartamento fresco di cantiere. Non fa per me. Contento lui, contenti tutti. Se tra un paio d’anni scopro che tradisce sua moglie, il divorzio lo chiedo io al posto di sua moglie. Tzè! Cazzo ti sposi a fare, pirla, se vuoi andare in giro a verificare se possiedi ancora un briciolo di sex appeal, se vuoi riaffermare il tuo ruolo di maschio predatore e riproduttore. Mi faccio schifo da solo: parlo come una femminista e me ne compiaccio. Ho ragione, ma al solito farei meglio a starmene zitto.
Ok ma sono già zitto. Non parlo da ore. Solo che i pensieri vanno e non si fermano. Mai. Anche nel silenzio più totale. Anzi è peggio. Nel silenzio è peggio. Porcaccia miseria. Devo tenerla occupata ‘sta testa, che sennò è peggio. Cazzo, sono già le 2. Domani vengono quelli del trasloco. Cazzoni. Fare un secondo viaggio solo per l’armadio e una poltrona. Mi ci tocca dormire pure, qui sopra. Per fortuna è morbida e ha il poggiagambe. I migliori 800 Euro spesi della mia vita. Adoro la seduta di questa poltrona. Alle 6 vengono. Se mi addormento adesso mi faccio 4 ore di sonno. Mah, chissà, magari! Poi se riesco a prender sonno, con tutti ‘sti pensieri. Un anno e mezzo in una città che non mi piacerebbe neanche se ci fossi nato. Un lavoro scelto per mancanza d’altro. Una menzogna perpetrata 5 giorni su 7, dalle 9 alle 18, pause pranzo e caffè escluse. Più straordinari. Vendere prodotti a gente che ne ha bisogno, che li comprerebbe comunque. Vendere di più. Vendere quello di cui non ha bisogno. Fatturare, fatturare, margini, margini da far crescere, margini che crescono. Mi maledico da solo per il fatto di avere questa fervida immaginazione. Quante volte l’avrò sentita quella parola in un anno e mezzo, 800 volte? 800 margini, 800 volte ho immaginato il margine di pizzo che ho visto mia nonna cucire sotto le tende del salone. La sala degli ospiti della nonna. Quanto tempo ci avrò giocato lì dentro? Un migliaio di giorni minimo. Quanto mi piacerebbe rivedere nonna. Poterle parlare ancora. Una sola volta, Un giorno solo. Il tempo di dirle che sto bene. Che ancora non so spiegarle che lavoro faccio. Metterei una bottiglia di Vov nella mia ventiquattrore lucida e andrei a trovarla. Le porterei quel liquore che le piaceva tanto, che beveva di nascosto, che tutti sapevamo beveva ma che quasi non ha mai ammesso di scolare con la velocità di un gatto che attraversa la strada. Sarebbe orgoliosa della mia ventiquattrore, nonna. Forse mi crederebbe un commesso viaggiatore. Uno con un lavoro serio, uno che porta a casa la pagnotta, che non fa mai mancare il pane sulla tavola, uno con la testa a posto, con la testa sulle spalle, che gira l’Italia in giacca e cravatta, vestito di tutto punto, che sorride alle signore, che viene accolto dai negozianti con grande rispetto, che si toglie il cappello quando entra, uno che la domenica porta persino i figli alle giostre. No, nonna, non è cambiato niente da quando ci siamo salutati. Non ho figli. Sono io nonna, mi riconosci? Non ho moglie, ancora è presto, nonna, è tempo che vada, che tu riposi, nonna, dormi, dormi nonna…
Bravo Nic…
Sergio