Come Dio comanda

di Gabriele Salvatores (Italia, 2008)
con Filippo Timi, Elio Germano,
Fabio De Luigi, Alvaro Caleca,
Vasco Mirandola, Angelica Leo,
Ludovica di Rocco, Alessandro Bressanello

Questa pellicola mi ha sostanzialmente deluso. Mi aspettavo molto di più dall’accoppiata Salvatores/Ammaniti, dal momento che qualche anno fa ci aveva regalato quella perla di “Io non ho paura”.
Per gran parte della durata del film sembra di stare ad assistere ad una brutta copia de “La ragazza del lago”. C’è la giovane vittima di violenza, c’è il morto, c’è il lago, ci sono le montagne, c’è il picchiatello, ecc.

Eppure sono sicuro che l’idea di partenza fosse completamente differente.
Disclaimer: non ho letto il libro di Ammaniti da cui questa pellicola è stata tratta. E spero che sia decisamente meglio della sua resa sul grande schermo. Forse ha ragione il mio amico Sergio che, uscendo dalla sala ha detto “Qui la trama è piena di buchi”. Forse ha ragione. Forse no. Forse il problema non sta tutto nella trama. A me, ad esempio, non sono piaciute molto le prime battute in cui la camera da presa ‘sta troppo addosso ai protagonisti’. Troppi primi piani, troppi zoom, troppo camera a spalla. Potrebbe essere un’impressione mia, lo ammetto. Forse il disagio mi è stato causato dalla minima distanza tra la mia poltroncina e lo schermo. Ma andiamo oltre.
“Come Dio comanda” racconta di un forte legame tra padre e figlio. Di un ragazzo padre fascista e razzista – porta una croce celtica sull’avambraccio –  e di un ragazzino quattordicenne. Il primo si prende cura del secondo in un modo che ha qualcosa di morboso. Della madre non sappiamo nulla. Non c’è e questo ci deve bastare.
Con loro bazzica sempre un picchiatello (sapientemente interpretato da Elio Germano), un tipo sotto i 30 anni che è rimasto scioccato dopo essere entrato in contatto con i cavi dell’alta tensione che erano rimasti scoperti: praticamente un invalido del lavoro. Si può leggere qui una certa polemica sociale? Forse. Ma non pare essere il focus del racconto.
Rino Zena, il padre, e il picchiatello detto Quattroformaggi hanno difficoltà a trovare lavoro. A detta loro i lavori in miniera sono affidati tutti a stranieri, gente slava, gente di colore, ecc. Rino tra l’altro è un mezzo alcolizzato che istiga suo figlio all’odio e alla violenza. E’ una padre continuamente a rischio: i servizi sociali potrebbero dividere padre figlio da un momento all’altro per tutta questa serie di problemi (alcol, disoccupazione, istigazione al razzismo, cattiva educazione, scarse condizioni igieniche dell’abitazione, ecc.) Dunque Rino vive e fa vivere suo figlio Cristiano sempre con l’ansia dell’imminente distacco. I due sono molto affezionati, fanno affidamento l’uno sull’altro, per cui il rischio di separarsi viene vissuto in maniera molto problematica, con ansia, rabbia e dolore.
Non mi va di raccontarvi tutto però fate conto che ad un certo punto, il Quattroformaggi il matto, un onanista cronico che al tempo stesso è anche religiosissimo, sfoga i suoi bisogni sessuali su di una ragazza – proprio quella di cui è innamorato il piccolo Cristiano. La cosa si connota di una certa violenza e per di più la storia si complica perché in soccorso dello spaesato Quattroformaggi accorre il il violento Rino.
A questo punto lasciatemi dire tre cose.
1. Ho trovato alcune assurdità nella trama, come ad esempio il fatto che un ragazzino possa trascinare via due corpi praticamente senza vita, che possa guidare di notte per la prima volta, sotto un accquazzone biblico e con la strada oltremodo sdrucciolevole. Che lo stesso ragazzino poi sia così scaltro da occultare un cadavere, imballandolo in cellophane trasparente e scotch da pacchi. Forse Ammaniti si è fatto influenzare un po’ troppo da Twin Peaks.
2. Gli attori sono sostanzialmente bravi. Tutti. Ma questa volta non basta la bravura del cast a tenere in piedi il film.
Filippo Timi è perfetto nella parte del quasi-quarantenne neo-nazista, con l’odio negli occhi e la violenza nella testa. L’aiuto del trucco gli permette di avere faccia e fisico tipico del ruolo che gli è stato affidato. Complimenti.
Come già detto poc’anzi, Elio Germano è adattissimo al ruolo del picchiatello. Riesce a tirar fuori certe espressioni che rendono bene l’idea del ragazzo a cui mancano alcune rotelle.
Fabio De Luigi se la cava. Niente da eccepire. Ma la sua resta una faccia da commedia: troppo simpatico per i film drammatici. Lo dico senza polemica e con tutto il rispetto per questo attore che adoro e stimo.
Forse l’attore più bravo di tutti, comunque, resta il ragazzino: Alvaro Caleca – credo per la prima volta sullo schermo. Si comporta praticamente da grande professionista, pur non essendo il suo un ruolo molto facile. Speriamo di rivederlo presto in altri film.
Buona scelta di cast anche per Angelica Leo, una ragazzina caruccia e simpatica, ma non bella in modo appariscente. Credo che fosse esattamente ciò che il ruolo richiedesse.
3. Ho trovato la colonna sonora non adeguata a raccontare le immagini ed in alcuni casi anche ruffiana, cioè che ammicca allo spettatore con brani conosciuti – vedi ad esempio “She’s the One” di Robbie Williams ed una cover di “Knockin’ On Heaven’s Door”.
Giudizio complessivo: negativo. Se durante le prossime vacanze natalizie vi venisse voglia di andare al cinema, fareste meglio a scegliervi un’altra pellicola.

La scheda di Cinematografo.it e quella di MyMovies.it.