Il divo

Il divo

di Paolo Sorrentino (Italia, 2008)
con Toni Servillo, Carlo Buccirosso, Flavio Bucci,
Anna Bonaiuto, Piera Degli Esposti, Giulio Bosetti,
Paolo Graziosi, Giorgio Colangeli, Alberto Cracco,
Aldo Ralli, Massimo Popolizio, Fanny Ardant,
Gianfelice Imparato, Lorenzo Gioielli

Io sono un fan di Paolo Sorrentino. Sia chiaro. I suoi primi tre film mi sono piaciuti molto. E anche questo, a dirla tutta, non mi è dispiaciuto affatto. Anzi.
Siamo di fronte alla storia di Giulio Andreotti. Una specie di biografia cinematografica incompleta – questo perché ovviamente il protagonista non è ancora deceduto. Sebbene a me non risultino molto simpatiche le biografie pubblicate quando il soggetto è ancora in vita, devo ammettere che in questo caso il regista/soggettista/sceneggiatore ci ha saputo fare. E’ riuscito a condensare in poco meno di 2 ore una storia lunga oltre 60 anni. Senza peraltro sbilanciarsi completamente a favore o contro l’oggetto della sua indagine. Sempre che di indagine si possa parlare. Anzi, a mio modo di vedere, sarebbe più corretto parlare di “racconto”.
Dunque più di mezzo secolo di potere incarnato in un sol uomo: Giulio Andreotti, anche noto come “Il divo Giulio” (da cui il titolo) o “Il gobbo” o “La volpe”, ecc.
Della sua lunga carriera politica, Sorrentino ha scelto solo un periodo: l’ultimo. La discesa della parabola, la fine della sua brillante ascesa al vertice delle cariche dello Stato Italiano. La parte di storia narrata si svolge agli inizi degli anni ’90, credo il 1992 – per la precisione. La breve durata del suo settimo mandato come Presidente del Consiglio e l’elezione alla Presidenza della Repubblica sfiorata per un pelo, a causa di lotte intestine tra le varie correnti del suo partito – La Democrazia Cristiana.
Ad essere sincero, inizialmente il protagonista viene dipinto un po’ troppo come macchietta. Lo vediamo parlare per massime e per battutine sagaci; tutte frasi ad effetto che credo siano state sul serio pronunciate da Andreotti e raccolte da Sorrentino spulciando varie interviste, articoli, scritti, dichiarazioni, ecc.
La seconda parte del film è forse meno dinamica della prima. Si fa cioè un po’ fatica a seguire le vicende se non si conosce bene il recente passato della politica italiana. Qualcuno di sicuro si sarà annoiato un po’. Però va dato atto al regista di aver saputo raccontare anche questo con precisione ed attenzione. Molti dei fatti narrati li vediamo accadere, diversi altri li sentiamo raccontati dalla viva voce dei pentiti. Tutto molto fluido. Scorrevole.
Un plauso anche per la scelta tecnica di inserire nome, cognome e soprannome accanto ad ogni personaggio nel momento stesso in cui questo appare sullo schermo per la prima volta. Un valido aiuto per tutti. Il regista avrebbe potuto far emergere le loro identità attraverso i dialoghi ma non l’ha fatto. In questo caso l’essere didascalici è risultato dunque una scelta sensata.
Di Servillo che dire? E’ forse il migliore italiano sulla scena, al momento. Qui riesce a rifare Andreotti molto bene, pur senza scimiottarlo. Modifica anche la sua voce per somigliargli il più possibile ma, ad esempio, è molto lontano dalla macchietta che solitamente mette in scena Oreste Lionello al Bagaglino.
Un premio questo film l’ha preso: quello della giuria al 61esimo Festival del Cinema di Cannes. Uno però lo avrebbero dovuto dare anche a Carlo Buccirosso per ma maniera esaltante in cui veste i panni di Paolo Cirino Pomicino. Oltre ad essergli molto simile nell’aspetto e nelle inflessioni vocali (attore e personaggio sono entrambi sono campani) risulta anche magnificamente simpatico. Basti vedere come si muove nella scena della festa da ballo – quella arricchita da una musica in stile batucada – o la scena dell’urlo nei corridoi della Camera dei Deputati o il modo in cui si muove con disivoltura tra i capannelli che si formano nello stesso palazzo tra una votazione e l’altra.
Mi ha fatto piacere vedere in gran forma anche attori spesso ahimé poco considerati come Flavio Bucci (nei panni di Franco Evangelisti), Gianfelice Imparato (Vincenzo Scotti), Aldo Ralli (Giuseppe Ciarrapico) e Giorgio Colangeli (Salvo Lima).
Anche due grandi signore del cinema italiano non hanno sfigurato affatto accanto a Servillo che questa volta, forse più che mai riempiva la scena con la sua possenza fisica ed interpretativa. Mi riferisco a Piera degli Esposti, tutta rannicchiata nel ruolo dell’anziana segretaria tanto ligia ai suoi incarichi, quanto fedele al suo capo, e Anna Bonaiuti. Quest’ultima è stata incaricata di prendersi sulle spalle Livia – la moglie di Andreotti – un personaggio non semplice, spesso in ombra ma che deve aver avuto una grande importanza nel restare a fianco di cotale potenza. Molto importante infatti la scena dell’ultimo dialogo tra i coniugi Andreotti, ossia quella in cui lei cala le carte in tavola e, pur riconoscendogli prontezza di risposta e concentrazione, gli rinfaccia di non essere affatto l’uomo colto e intelligente che tanti credono di conoscere.
Giulio Bosetti indossa le vesti di Eugenio Scalfari. Bravo l’attore, eppure credo che questo personaggio avrebbe dovuto essere interpretato con una punta in più di vanità.
A seguito della visione del film, lo stesso Andreotti ha detto di non riconoscersi nell’uomo tanto cinico rappresentato da Sorrentino sul grande schermo. A chi credere? Al regista o al protagonista rappresentato?
Come sempre superba la colonna sonora: si inizia con “Toop toop” dei Cassius – che fa da sottofondo a diversi attentati e stragi della storia d’Italia – e si conclude con “Da Da Da” dei Trio sui titoli di coda. Nel mezzo c’è anche spazio per mettere un brano di Beth Orton a sfondo, sotto la scena del bacio tra il protagonista e Totò Riina.
Da segnalare anche l’uso del brano “E la chiamano estate” di Bruno Martino, eseguito nella versione originale cantata dall’autore e “I migliori anni della nostra vita” di Renato Zero.

La scheda di Cinematografo.it e quella di MyMovies.it.