“Lire 26.900”
(euro 13,89)
di Frédéric Beigdeber
2001, Universale Economica Feltrinelli,
239 pagg. – 7 Euro.
Traduzione dell’opera originale “99 Francs”
(C) Editions Grasset & Fasquelle, 2000
Come già ebbi modo di scrivere, a proposito di “Non ho problemi di comunicazione” di Walter Fontana, se siete in qualche modo contatto con il mondo delle agenzie di comunicazione questo libro fa per voi. Dovete leggerlo assolutamente.
Si tratta della storia di Octave, un copywriter pazzoide e cocainomane, che lavora in una agenzia pubblicitaria francese molto importante – filiale di un grande gruppo americano – e che cerca in tutti i modi di farsi licenziare. Un tizio che si è reso conto di far parte del sistema e di esserne schiavo. Uno che si vuole liberare del peso che ha iniziato a sentire quando si è reso conto di essere un ingranaggio della grande macchina che crea sogni ed illusioni a soli fini commerciali.
Quello che Beigbeder dipinge è un quadro spesso cinico ma molto spesso realistico – anche se ai più potrebbe sembrare parossisstico – un quadro che rende bene l’idea di quale sia l’aria che si respira nelle società di un certo tipo e negli uffici in cui si ‘fa comunicazione’. Uno spaccato di vita che non si limita ai rapporti di lavoro tra colleghi, sottoposti e capiufficio, ma che spazia, arrivando anche a toccare la sfera personale dei cosiddetti ‘colletti bianchi’ superpagati. Il protagonista infatti è uno che conduce una vita dissoluta tutta alcool e cocaina, uno che la notte si intrattiene con gli ubriaconi dei bar di Parigi e va a letto tardi, uno di quei Peter Pan che non vuole crescere, che è ricco e vive come se il denaro a sua disposizione non dovesse mai finire, uno che compra un sacco di giocattoli per sè, che lascia la sua ragazza non appena viene a sapere di averla messa incinta, uno con già un matrimonio alle spalle, uno che si innammora ogni due per tre, uno che sa di aver fatto del male, uno che non sa dimenticare la donna che ama davvero, un buono che si finge cattivo per non essere oppresso in un mondo in cui i cattivi si fingono buoni. Insomma un cinico con un cuore grande così.
240 pagine appassionanti che mi sento in dovere di consigliare sinceramente a tutti i miei colleghi. Buona lettura.
premesso che si tratta di un libro che ormai ho quasi cancellato dalla mia memoria cerebrale, ricordo che lo trovai piuttosto calzante per il fantastico mondo della pubblicità degli anni 80 (periodo che ahimé ho solo sfiorato ad inizio carriera!), ma troppo caricaturato per essere vero adesso. ma aggiungo anche di non essere mai stata al festival della pubblicità di cannes, cosa che avrei ambito parecchio negli anni 80 ma che adesso eviterei come la peste :-)
Non ho mai lavorato in una vera e propria agenzia di pubblicità ma credo che in diversi passaggi questo romanzo renda l’idea in maniera calzante.
ecco lo sapevo, devo essere sembrata la solita vecchia acida sputasentenze. cioè non che non sia vecchia…acida, beh, in effetti un pochino…sputasentenze, magari solo un po’ :-) in fondo in una grande agenzia non ho mai lavorato neanche io, solo agenziucole!
Ma no, dai. :)
Sai cosa? Essendo stato scritto tra il 1999, 2000 e 2001, mi è sembrato un po’ strano che tu possa aver pensato agli inizi degli anni ’80.
perché gli anni dorati della pubblicità in fondo sono stati quelli. piano piano poi è andato tutto in discesa e anche se, sia negli anni ’90 che oggi, si spende e spande come allora lo si fa (a mio parere sia chiaro!) più per rinverdire quei fasti che altro. poi in effetti quando parlo di anni ’80 forse mi riferisco più alla seconda metà e lui che scrive alla fine dei ’90 attinge al suo background professionale, che non può risalire a uno o due anni prima: quindi non è che siamo poi tanto lontani, forse. magari però mi sbaglio :-)