Le rose del deserto
di Mario Monicelli (Italia, 2006)
con Alessandro Haber, Giorgio Pasotti,
Michele Placido, Fulvio Falzarano,
Moran Atias, Tatti Sanguineti, Claudio Bigagli
Il mio giudizio potrebbe essere drograto dal fatto che nutro una profonda stima per Mario Monicelli e per le commedie che ha realizzato nei suoi 90 e passa anni di vita.
Ad ogni modo questo "Le rose del deserto" non è propriamente una commedia anche se molte scene strappano sorrisi. Ma non è da considerarsi nemmeno un dramma – di quelli classici – nonostante in più di un caso io sia stato lì lì per commuovermi.
Questo film mi ha ricordato "Mediterraneo" di Gabriele Salvatores per diversi motivi: l’ambientazione, il tema della guerra, l’epoca (la seconda guerra mondiale), l’esperienza di un piccolo gruppo di soldati italiani in terra straniera, i rapporti con un popolo e con una cultura diversa, lo spaccato dell’Italia attraverso il comportamento e/o le origini dei singoli, l’umanità degli uomini sotto la divisa, ecc.
La trama non ritengo sia fondamentale. Sembra quasi che la storia inizi a caso e che sia incompiuta. Più che altro mi sembra funzionale all’espressione di due o tre personaggi sapientemente tratteggiati. Ecco, volendo fare un paragone: pensate ad un segmento all’interno di una retta. Un pezzo di una storia che è pressocchè infinita o comunque molto lunga. Non è importante vederne l’inizio e la fine. Si taglia un po’ a casaccio, se ne prende un pezzo X perché l’importante è il contenuto, quello che c’è dentro. E qualsiasi segmento tagli, alla fine, peschi più o meno gli stessi contenuti, le stesse esperienze, le stesse storie da raccontare.
Consiglio di vedere questa pellicola soprattutto per l’interpretazione che Michele Placido fa del frate emigrato in Africa. Placido è l’uomo jolly del cinema italiano di questi ultimi anni. Dove lo metti sta. Non sbaglia un colpo, nè un ruolo. Recita alla grande e spesso riesce a trasformare in oro quello che tocca, manco fosse un Re Mida (vedi il caso "Romanzo criminale"). L’uomo di chiesa pragmatico, pregno di senso d’umanità è un profilo che ha costruito a dovere. Chissà quanto c’era di scritto nel copione e quanto ci ha messo di suo, di improvvisazione. Il risultato, comunque sia, è pressochè ottimo. Le scene in cui appare il suo personaggio sono le più divertenti e anche le più toccanti. Frate Simeone non è propriamente il protagonista ma spesso e volentieri ruba la scena ai soldati, che dovrebbero essere invece fulcro del racconto.
Altra grande interpretazione è quella di Alessandro Haber nei panni del Maggiore Strucchi. Con lui si apre e si chiude il film. Le sue frasi tipiche diventano immediatamente dei tormentoni tra i commilitoni. La sua è una divisa molto umana e comprensiva, a tratti anche un po’ ‘lavativa’. Di sicuro poco autoritaria. Per i suoi uomini è più un padre, un fratello maggiore, che un superiore. Uno che suggerisce e supervisiona, piuttosto che comandare. Ciò nonostante, Strucchi in un paio di occasioni dimostra di saper tirar fuori gli artigli quando si tratta di difendere la propria squadra, la dignità e la vita umana. Applausi anche per lui. Per me Haber non è mai stato un attore da mettere in discussione. L’ho trovato perfetto anche in film meno impegnati come "Parenti serpenti".
Se Giorgio ‘pasotto’ Pasotti continua a recitare così finisce che lo considerarlo un attore. Diciamo allora che dovrebbe fare altre 10 prove almeno sufficientemente valide come questa per entrare nelle mie grazie e ottenere il mio rispetto. La sua interpretazione del giovinetto laureando in medicina oculustica che va in guerra con una macchina fotografica al collo è abbastanza credibile. Nei momenti meno intensi se la cava bene. Sulle scene più difficili non saprei dire. Forse il regista è stato clemente ed ha evitato di piantagli in faccia la macchina da prese nei momenti in cui la recitazione richiedeva maggior impegno e maggior esperienza. Voi non sapete quanto può essere compromettente per un attore sbagliare un primo piano.
Moran Attias appare in tre brevissime scene: giusto il tempo per sfoderare un sex appeal impareggiabile. Come perla mora del deserto è perfetta. D’altronde è o non è Israeliana?
I siparietti in cui il critico cinematografico Tati Sanguinetti si atteggia da vecchio generale carrierista sono tutti da ridere. In quella divisa extralarge pare un grande fantoccio; per non parlare poi del cappellone calato sugli occhi che completa il profilo di una pura maschera da parodia.
Validi tutti gli altri attori che fanno da comprimari. Tra loro si distinguono il sardo che ha messo incinta una minorenne al suo paese, e che smania per tornare a casa a sposarsi, e il romano dalla battuta pronta.
Piccolo cammeo anche per Claudio Bigagli (quasi irriconoscibile). E’ con la sua apparizione che la citazione di "Mediterraneo" diventa più che palese. Diciamo pure evidente.
Le musiche sono appropriate proprio perché non invadenti. Mi ha fatto piacere risentire una melodia che ho scoperto una quindicina d’anni fa attraverso la sonorizzazione di un videogame anni’80. Credo fosse il tema del film. Fuoriluogo mi è sembrato solo un pezzo dance suonato durante un campo lungo nel deserto.
Questo film è liberamente tratto dal libro "Il deserto della Libia" di Mario Tobino e dal brano "Il soldato Sanna" in "Guerra di Albania" di Giancarlo Fusco.
La scheda di Cinematografo.it e quella di MyMovies.it.
Io lo vidi al cinema, ricordo che non mi era dispiaciuto per niente.
:)