Arriva la bufera

Arriva la bufera

di Daniele Luchetti (Italia, 1993)
con Diego Abbatantuono, Silvio Orlando,
Margherita Buy, Angela Finocchiaro, Mimmo Mancini,
Marina Confalone, Eros Pagni, Lucio Allocca,
Claudio Spadaro, Stefania Montorsi, Riccardo Zinna

È sempre un piacere rivedere un film come questo. Un film di cui ricordi a memoria alcune scene e diverse battute. Tra tutte quella dello sposo che, avviandosi all’altare per sposarsi, si affretta tra le due file di banchi, salutando i parenti e dicendo ad uno di questi "Ciao zio, ci vediamo dopo, ammangiare!" Piccolo capolavoro di verismo sarcastico.
La trama è importante ma neanche tanto. Però ha diversi spunti di originalità. Pur essendo una storia d’amore, di amore vero, con la "A" maiuscola, s’intreccia con il dubbio, con il sospetto che ci sia sotto dell’interesse. Sullo sfondo (ma neanche tanto) la corruzione: tema più che attuale nell’Italia del 1993, in pieno reflusso post-tangentopoli. I personaggi si muovo in un paesino del sud – forse della Campania – con tutte le sue brutture: l’immondizia che regna sovrana, le truffe e i sotterfugi a più livelli, il clientelismo che s’intreccia con l’arrivismo, lo spettacolo e le speranze di qualche bella giovane del posto, il menefreghismo, la difficoltà di far applicare la legge, ecc.
Simpatico anche lo sfruttamento del tema classico della storica rivalità tra due famiglie, una cosa un po’ alla Romeo e Giulietta. Grande maestria, poi, nell’inserire il personaggio del terzo incomodo, del disadattato, dell’uomo fragile – il giudice settentrionale – che fa di tutto per mostrarsi tutto d’un pezzo, pur non riuscendoci. Piccolo spazio anche per tradizioni becere, soprattutto legate al matrimonio, come i riti e le scaramanzie che circolano intorno alla figura degli sposi. In tutto questo infilateci anche il sogno, topos che si dipana indipendente e parallelo alla trama ma che funge anche da collante. Quel sogno che ha un ruolo di primo piano nella vita del futuro sposo, che è materia di studio della sposa, che quindi avvicina i due fidanzati e che allo stesso tempo tormenta il giudice innamorato – ma non ripagato.
Anche se il finale è positivo, liberatorio ed espiante, anche se il ménage à trois si spezza sul nascere e il terzo incomodo si fa da parte per far trionfare i buoni sentimenti, il film si fa amare con estrema facilità. Non annoia affatto. Anzi diverte. Alla faccia di chi dice che la commedia all’italiana è morta negli anni ’70.
Due parole sugli attori.
Le facce di Silvio Orlando meritano da sole la visione del film. Così come i momenti di ira del giudice Abbantantuono, o i suoi mugugni, i suoi istantanei "andare di matto".
Il personaggio di Margherita Buy continua idealmente il profilo di quello da lei già interpretato in "La settimana della Sfinge": la giovane svampita.
Marina Confalone è nata napoletana e morirà napoletana. Attribuirle il termine "caratterista" significa farle un torto. Come riesce lei ad assumere i caratteri delle figure femminili partenopee, non riesce nessuna. Non per niete proprio con questa pellicola nel 1993 ha vinto il David di Donatello per la categoria "migliore attrice non protgonista".
La faccia di Lucio Allocca è una buona faccia. Una grande faccia. È un bene che Luchetti spesso se lo porti dietro. Lo abbiamo visto infatti anche ne "Il portaborse".
Angela Finocchiaro è un altro degli attori jolly di Luchetti. Non so se è più utile lui a lei o lei a lui. Fatto sta che quest’anno con "Mio fratello è figlio unico" sono riusciti a fare un lavoro eccellente. Brava lei a recitare, bravo lui a dirigerla.
Eros Pagni piace. Forse anche perché ricorda un po’ (troppo?) Carlo Dapporto.
Buona la prova di Mimmo Mancini. Poche battute ma dette bene. Qui fa il giovane poliziotto, un ruolo da spalla ad Abbatantuono. Ma con il personaggio del boss "Carrarmato" nel film "Lacapagira" ha dimostrato che ci sa fare anche in ruoli più importanti.

La scheda di Cinematografo.it e quella di MyMovies.it.