City of God

City of God

di Fernando Meirelles e Katia Lund (Brasile, Francia, Usa, 2002)
con
Alexandre Rodrigues, Edson Montenegro, Matheus Nachtergaele,
Karina Falcao, Sabrina Rosa, Seu Jorge, Phellipe Haagensen,
Jonathan Haagensen, Charles Paraventi, Roberta Rodriguez Silvia

La scheda di FilmUp Leonardo dice:  «Trasposizione cinematografica dell’omonimo libro di Paulo Lins che racconta lo sviluppo del crimine organizzato nei sobborghi di Rio De Janeiro tra la fine degli anni ’60 e inizi anni ’80».
Immaginate dunque "Pulp Fiction" di Tarantino ambientato in un paese latinoamericano. Oppure pensate al messicano "Amores Perros" di González Iñárritu, spostato di qualche migliaio di chilomentri più a sud. City of God è questo: nient’altro che un film pulp ambientato in Brasile. In una favela poco fuori Rio De Janeiro. Nella favela denominata "Citta di Dio", per la precisione. Nient’altro che un bellisimo film. E forse molto di più.
Sangue, urla, pistole. Un’escalation di violenza che ha come unici protagonisti dei giovani sbandati. Piccoli umani diventati uomini troppo presto, il cui futuro si biforca semplicemente in due strade apparentemente opposte: bandito o poliziotto. O rincorri o vieni rincorso. Per loro, piccoli abitanti del quartiere della vergogna, non c’è altra via d’uscita. Se non la Violenza. Il lavoro c’è: ma è scarso, onesto, troppo umile, faticoso e poco remunerativo. Oppure i sogni. Un sogno. Come quello del protagonista: diventare fotografo e magari lavorare per un giornale a cui vendere i propri scatti.
Come in ogni favela, nella Città di Dio vige sono una legge: la legge del più forte. "Nella Città di Dio se scappi sei fatto e se resti sei fatto lo stesso". Vince chi spara per primo, chi ha la pistola più grande o, più semplicemente, chi incute timore facendo la voce grossa. Dopo un singolo episodio di violenza inaudita, una rapina in un bordello conclusasi in carneficina, la pace torna a regnare sovrana nel ghetto. Tutto il territorio è diviso in due grandi aree e soggiace al potere di due giovani boss locali. Questo almenò finché non viene assassinato Benè – il braccio destro del boss testa calda – colui il quale aveva fatto da paciere e da cuscinetto tra l’ingordigia dei due galli nel pollaio.
Morale della favola: tutti finiscono male, a meno che si ha un sogno nel cassetto e non lo si persegue sino in fondo. L’unico a salvarsi, infatti, è il giovane appassionato di fotografia, aiutato dalla vanità di un boss e dalla sete di immagini violente della stampa.
Entusiasmante lo stile di regia che qui hanno adottato Meirelles e Lund. I continui flashback, le parentesi temporali funzionali a spiegare il passato recente dei personaggi che si incontrano lungo il percorso, sono un’artificio molto accattivante attraverso cui viene conferito alla storia un ritmo vivace, seppur spezzato. Quasi funky, se mi passate il termine.
Bravissimi tutti gli attori, a partire dal protagonista Buscapè, passando per il boss Zè Pequenho, per il suo braccio destro dandy Benè, per Senoura – l’altro boss – per i fratelli maggiori (il Trio Tenerezza), per Manè Galinha, il bello della situazione convertito alla guerra dei clan, fino ad arrivare al cocainomane dai capelli rossi e alla banda di bambini randagi.
Un doppio plauso al curatore della fotografia, tale Cesar Charlone. 1°. Per il fascino che scaturisce dai colori delle distese deserte – un’ocra e un’azzurro molto contrastati che si tagliano netti l’uno con l’altro. 2°. Per i giochi di luce ed ombre tra i vicoli tutti uguali, incastrati tra le case popolari tutte uguali della favela.

Il sito ufficiale brasiliano.
La scheda di
Cinematografo.it, quella di FilmUp e quella di MyMovies.

Un grazie particolare a Gianluca Neri e Matteo Bordone che indirettamente – attraverso una puntata della trasmissione radio SabatoNotte – mi hanno suggerito la visione di questa pellicola.