Munich

Munich

di Steven Spielberg (Usa, 2005)
con Eric Bana, Daniel Craig, Geoffry Rush,
Mathieu Kassovitz, Hanns Zischler, Ciaran Hinds,
Mathieu Amalrich, Michael Lonsdale, Gila Almagor,
Valeria Bruni Tedeschi, Ayelet Zorer, Lynn Cohen

Vai a vedere questo film perchè ti incurioscisce. Cioè io, fino a un mese, fa non ne sapevo nulla di questo attentato alle olimpiadi di Monaco. Inoltre ho origliato una conversazione di pseudo-critici cinematografici: dicevano che Spielberg è Spielberg, si, però questa voltà l’ha fatta un po’ fuori dal vaso… diciamo così. L’immagine che dà dell’Italia e della Francia che è completamente sballata. Due nazioni europee mostrate nel più classico degli stereotipi. A Roma, dicevano, ci sono bandiere dell’Italia in ogni strada, a Parigi tutto si svolge sotto la Torre Eiffel, come se in quella città non esistessero scorci che non abbiano sullo sfondo il simbolo della nazione transalpina.
E infatti così è. L’Italia di Spielberg, quella che rappresenta qui in "Munich", è una Italia da cartolina. Le bandiere che sventolano davvero in ogni strada. Così come i tavolini del bar a cui siedono i protagonisti sono tutti griffati "Martini" (altro simbolo italiano molto noto all’estero). Così come Parigi, il nostro caro regista, non riesce ad immaginarla e a rappresentarla senza il torrione metallico. E’ tutto così banale che ti viene da chiederti allora se Spielberg pensa davvero che queste due nazioni negli anni ’70 fossero così o se vuole rendere il film discascalico, se vuole cioè renderlo fruibile anche a quella massa spropositata di spettatori cinematografici americani per cui l’Europa è un grande calderone, una unica indistinta landa in cui non c’è alcuna distinzione tra i fiordi norvegesi, il golfo di Napoli e spiagge spagnole che si affacciano sull’Atlantico.
A dirla tutta, i criticoni che sparlavano di Munich avevano calcato un po’ la mano. Insomma il film non è orrendo. Si fa guardare, può risultare anche gradevole in diversi passaggi. La cosa insopportabile, semmai, è tutto il gran parlare che si fa della questione palestinese, dell’odio ed il risentimento accumulato nei secoli dal popolo ebraico, ecc. Forse si sarebbe dovuto insistere più sull’aspetto spionistico e meno su quello politico/storico/ideologico. 
Tutto sommato Munich a me è piaciuto. E’ piaciuto per quel senso di caccia all’uomo che da. Guardare questo film è un po’ come vedere un episodio della serie "Mission Impossible" (ho detto la serie, non il film). Degli uomini, dei super esperti di spionaggio, che vengono assoldati dai serivizi segreti di uno stato per fare fuori altre spie, altri terroristi, altri killer. Assassini di professione che però ad un certo punto iniziano a farsi scrupoli, che per dedizione al lavoro perdono la propria serenità e la loro sfera privata. Il tema della spia che non distingue tra lavoro e vita privata, a dire la verità, era già stato analizzato da George Clooney in "Confessioni di una mente pericolosa", ma qui la cosa assume tutto un tono più drammatico, più serioso. Spielberg forse si prende troppo sul serio, ecco. Ha costruito il film già con l’idea di dover fare un capolavoro. Senza che poi, però, vi sia riuscito. Tutto sommato bisogna anche dargli atto che l’argomento era quanto mai spinoso e scivoloso. Una parola in più, o una in meno, ed ecco che sarebbero piovute accuse di anti-sionismo a destra e a manca. O viceversa. Per questo, lo ripeto, io al posto suo avrei menato meno il torrone sul tema "Israele vs. causa araba".
Detto questo, vi invito a leggere
il post a riguardo scritto da Matteo Bordone. Un interessante punto di vista che ha contribuito alla mia voglia di andare al cinema. Il suo parere dista parecchio dal mio ma, più che altro, lui accenna ad un parallelismo tra lo Spielberg di oggi e quello che fu. Tra Oliver Stone, il suo cinema dato in pasto "cotto e mangiato" ai suoi spettatori, e la brillantezza delle prime opere spielberghiane.

La scheda di Cinematografo.it e quella di FilmUp Leonardo.