Il sorpasso, la rassegnazione e la massimizzazione

Da qualche giorno, ormai, il blog di Bonza (lecosedavicino) mi ha superato in contatti, nonostante sia stato io a farle scoprire questa realtà. Bisognava aspettarselo: la creatività paga. Oggi, invece, bisogna rassegnarsi. Io, intanto, approfitto della relativa popolarità. Per questo motivo ho pensato di pre-pubblicare qui un piccolo post che ho scritto il 30 aprile proprio per quel blog.

Dietro al bancone

Oggi sono stato più di un’ora nel negozio di mio padre. Non ci passavo così tanto tempo da anni. Da quando ero bambino, forse. Un meccanico si è trattenuto li più o meno per lo stesso tempo. Cercava un pezzo di ricambio il cui numero di riferimento, per essere indivuduato con esattezza, necessitava di una ricerca sul pc. Proprio quel pc su cui io stavo installando una nuova versione del software-database. Ad un certo punto nel mio "caro" dialetto mi ha chiesto (più o meno): «…, di quanto tempo hai bisogno per metterlo a posto?» Al posto di quei puntini lui c’ha messo il mio nome. Quello vero. Il mio nome di battesimo. Devo essere sincero: mi ha fatto uno strano effetto. Non avrei mai pensato che un meccanico, seppur habituè del negozio, potesse ricordarsi il mio nome. Non ci si vede da anni. Non abbiamo mai scambiato più di due battute una di seguito all’altra… e pensare che in questi giorni l’ho visto per strada. Non ricordo dove. Forse sul corso, tra le bancarelle della Fiera d’Aprile. Un volto noto. Sapevo che era un meccanico. Uno di quelli visti tante volte da dietro al bancone. Eppure non ricordavo il suo nome. Oggi l’ho sentito pronunciare e, naturalmente, mi sono chiesto come ho fatto a essere così smemorato… Dopo qualche quarto d’ora entra un altro tizio. Altro volto noto. Omone alto. Ha passato di sicuro i cinquanta. Ha la barba. Grigia. E’ quella che mi colpisce. Lo ricordavo, si, ma senza quella folta barba grigia da protagonista di "Cast Away". Non potevo fare a meno di guardarlo. In un paio di secondi ci saremo lanciati 3 o 4 sguardi indagatori. Poi lui ha sbottato: «… che si dice? Tutto apposto?» E io che pensavo di averlo infastidito! Mi sono affrettato a rispondere nel solito acre vernacolo che non c’era niente di nuovo. E mentre saettavo la risposta mi rendevo conto che il mio sguardo, ora che ero stato riconosciuto e salutato, fuggiva quello dell’interlocutore. Questi sconosciuti si ricordano di me. Il mio nome. Sapranno anche dove vivo, di cosa mi occupo… cos’avrò fatto mai da bambino, dietro quel bancone?