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La ragazza nella nebbia

5 novembre 2017 22:26 / Leave a Comment / Smeerch

La ragazza nella nebbia

La ragazza nella nebbia
di Donato Carrisi (Italia, 2017)
con Toni Servillo, Alessio Boni, Jean Reno,
Lorenzo Richelmy, Galatea Ranzi, Antonio Gerardi, Daniela Piazza,
Michela Cescon, Lucrezia Guidone, Daniela Piazza, Ekaterina Buscemi,
Greta Scacchi, Thierry Toscan, Marina Occhionero

Buon thriller. Il regista che l’ha diretto è anche l’autore dell’omonimo romanzo da cui è tratto. Donato Carrisi è alla sua prima prova da regista ma se la cava egregiamente. Forse nel finale si accavallano un po’ troppi colpi di scena ma questo – per alcuni – non sarà necessariamente un fattore negativo.
Ad Avechot – un piccolo paesino di montagna speduto tra le Alpi – una ragazza di circa 16 anni di nome Anna Lou scompare misteriosamente una sera, come se fosse stata quasi assorbita dalla nebbia che avvolge abitualmente il quartiere dove abita. Nessuno si accorge della cosa, nessuno sente alcunché. Che fine avrà fatto? Chi l’ha presa? Ad indagare sul caso arriva Vogel, un celebre investigatore. Vogel è un volpone che viene dalla città; l’ultimo caso che ha trattato si è concluso con un nulla di fatto – l’uomo che accusava del delitto si è poi rivelato essere innocente – ma pare essere la persona giusta per una situazione del genere. Il suo punto di forza è sfruttare i media per risolvere il caso. Conosce il modo in cui funziona la tv del dolore, per cui cerca di creare una situazione che deponga a suo favore, in particolar modo trama nell’ombra con Stella Honer, la conduttrice di una nota tv che si occupa di cronaca nera, per far emergere particolari che con le sue sole forze non riuscirebbe a scovare. Il problema è che questo gioco in poco tempo gli sfugge di mano: a causa sua Loris Martini, un professore che insegna nella scuola di Anna Lou, finisce nel ciclone. Non avendo un alibi per il giorno in cui la ragazza è scomparsa, Martini viene diventa il principale indiziato del caso e i media vanno subito a nozze. L’opinione pubblica – come al solito – non aspettava altro che trovare un mostro da accusare.
Vogel comunque sembra quasi divertirsi a giocare al gatto e al topo. Il professore inizia invece a sentirsi una preda braccata, non ha l’appoggio completo da parte della sua famiglia, i media gli stanno addosso notte e giorno, non sa come uscirne, per cui, messo alle strette, decide di affidarsi a Giorgio Levi, un noto avvocato che ha già trattato in passato casi simili, anche se questi si rivelerà poi colluso con i media che fanno opera di sciacallaggio.
Ma i sospetti di Vogel e di mezza Italia – che segue il caso con la bava alla bocca – sono fondati? Sarà davvero Martini il colpevole della sparizione di Anna Lou?

Riferimenti
1. Il film “La ragazza del lago” di Andrea Molaioli. L’ambientazione è similissima, così come il caso (una ragazza uccisa in un paese lacustre). Anche in quella pellicola recitava Servillo nei panni di un Commissario.
2. Nel suo “Omicidio all’italiana” Maccio Capatonda ha già trattato i temi della tv che specula sul dolore delle famiglie coinvolte dai casi di cronaca nera e del turismo macabro. E forse l’ha fatto anche meglio. Certo, quella era una satira cialtrona, ma non è detto che i film “serii” siano necessariamente più profondi o affrontino meglio l’argomento.
3. Il colbacco grigio indossato dal capo della polizia locale (donna) mi ha ricordato le protagoniste femminili delle tre stagioni della serie “Fargo” e dell’omonimo film da cui la serie è stata tratta.
4. Il delitto di Cogne.
5. Il plastico dei luoghi del delitto che Bruno Vespa usa nel suo “Porta a Porta”.

Quello di Vogel non è un personaggio del tutto positivo. Non è propriamente un eroe; basti vedere come sfrutta la stampa per raggiungere i suoi scopi. È un uomo parecchio vanesio e cinico, usa sotterfugi, tecniche e strumenti non proprio leciti, né legali, eppure su chi legge (su chi guarda il film) finisce per esercitare un certo fascino. Le prime ombre sulla sua figura iniziano ad apparire nel momento in cui il baillamme che ha scatenato non si muove secondo i suoi piani, ma vive di vita propria e fa fatica ad essere incanalato.

La narrazione non è del tutto lineare. Ci sono diversi flashback ma non è difficile seguire la storia. Il film si apre con gli ultimissimi momenti della vicenda e in un certo senso ha anche una struttura a cerchi concentrici. Non posso dirvi però di più per non svelare troppo della trama.

Toni Servillo – come già detto – interpreta l’investigatore Vogel: un tipo molto serio, a volte burbero ma deciso ad andare fino in fondo senza perdersi in chiacchiere.
Il suo assistente – Borghi – è interpretato dal bel Lorenzo Richelmy. Avete visto la serie tv in cui intepreta Marco Polo? Io no. Comunque se la cava, dai. L’età non depone a suo favore – forse ci voleva qualcuno con più anni sulle spalle – ma porta a casa il risultato.
Alessio Boni da 10 e lode: il professore accusato di aver rapito la ragazza ha la sua faccia. Con la barba lunga e coperto di abiti pesanti recita il perfetto montanaro degli anni 2000. L’espressione da disperato che potrebbe nascondere qualcosa di grosso è la sua carta vincente.
Galatea Ranzi è Stella Honer la stronza: una presentatrice tv iper-cinica che pensa solo allo share della sua trasmissione tv. Una donna in carriera che sa il fatto suo e che non permette a nessuno di intralciare il suo cammino verso il successo di pubblico.
I miei consueti apprezzamenti a Antonio Gerardi, qui nei panni di Giorgio Levi, l’avvocato esperto di casi di nera che si fa sotto con la sua offerta di difesa quando il prof Martini si trova all’angolo, schiacchiato dalle accuse.
Jean Reno intepreta il dottor Flores, un pacato psichiatra che ascolta il racconto dell’intera vicenda dalla diretta voce dell’ispettore Vogel.
Michela Cescon è Maier, il capo della polizia locale. Purtroppo il suo è un ruolo davvero piccolo, poco influente. Peccato perché questa è un’attrice di prima classe. Lo scrissi già ai tempi del film “Primo amore”.
Bravissima Greta Scacchi nei panni di una vecchia giornalista che è stata ostracizzata dal circo mediatico perché da anni sta in fissa con alcuni casi (mai risolti) di sparizione di giovani donne.
Thierry Toscan interpreta il padre della ragazza scomparsa: un uomo di poche parole che porta dentro un dolore atroce, difficile da sopportare.
Anna Lou ha il volto di Ekaterina Buscemi.
La sua migliore amica è intepretata da Marina Occhionero.
Nel ruolo della mamma di Anna Lou troviamo la validissima Daniela Piazza, grande prova recitativa per lei.

Perché vedere questo film: perché è un buon film, un opera valida per essere un thriller made in Italy. Perché il cast recita molto bene, Alessio Boni su tutti. Perché Carrisi dimostra di saper maneggiare molto bene una storia di cronaca nera.
Perché non vedere questo film: se non vi piacciono i noir, se non sopportate la tensione tipica di questi film, se Servillo vi sta sulle scatole, se provate antipatia per Galatea Ranzi, se avete già il libro e non v’è piaciuto, se avete già letto il libro e non vi piace film di cui già conoscete il finale, se preferite il thriller americano,

La scheda di Wikipedia, quella di Cinematografo.it e quella di MyMovies.it.

Posted in: film / Tagged: Alessio Boni, Antonio Gerardi, cast, cinema, cronaca nera, Daniela Piazza, Donato Carrisi, Ekaterina Buscemi, film, Galatea Ranzi, Greta Scacchi, Jean Reno, La ragazza nella nebbia, Lorenzo Richelmy, Lucrezia Guidone, Marina Occhionero, Michela Cescon, pellicola, recensione, regia, regista, scheda, Thierry Toscan, thriller, Toni Servillo

La grande bellezza

30 maggio 2013 17:00 / 1 Comment / Smeerch

La grande bellezza

La grande bellezza

di Paolo Sorrentino (Italia, 2013)
con Toni Servillo, Carlo Verdone, Serena Grandi, Pamela Villoresi,
Galatea Ranzi, Carlo Buccirosso, Iaia Forte, Isabella Ferrari,
Sabrina Ferilli, Giorgio Pasotti, Antonello Venditti, Massimo Popolizio,
Luca Marinelli, Ivan Franek, Lillo Petrolo, Giusi Merli, Vernon Dobtcheff,
Roberto Herlitzka, Fanny Ardant, Dario Cantarelli, Giovanna Vignola

Inizio col dire – a scanso di equivoci – che il mio giudizio su questa pellicola è sostanzialmente positivo.
Ciò detto, mi si lasci esprimere comunque tutte le perplessità che pure sono emerse durante la visione.

Jep Gambardella ha appena compiuto 65 anni. Mentre la sua vita sta volgendo al termine, si rende conto con grande rammarico di non aver concluso nulla di realmente significativo. È un giornalista di origini campane che vive a Roma da circa 40 anni. Dorme (male) di giorno e vive di notte. Ha scritto un solo libro di successo da giovane, ma poi non è riuscito a portare null’altro alle stampe. Non ha mai avuto bisogno di denaro per vivere. Scrive per un giornale importante, ha un eccellente stipendio (supponiamo) e pare avere ottimi rapporti con il suo direttore. Riesce anche a fare delle interviste senza risultare a tutti i costi banale. Eppure non è felice. Il suo personaggio è la pura incarnazione della mollezza esistenziale. Trascorre le sue giornate passando da una festa all’altra, da un evento mondano a una cena, da un buffet a un cocktail, ecc. La sua intera vita è pura mondanità. Voleva essere il cuore delle feste e ci è riuscito. Ma è il suo cuore a non essere appagato. E nemmeno la sua mente. Quando viene a sapere che il suo grande amore giovanile (una biondina incontrata al mare con cui ha perso la veriginità) è morto, il meccanismo si inceppa: non riesce più a fregarsene di tutto e di tutti. Detto in una sola frase: Jep è un vecchio indolente che ha finito per odiarsi.

“La grande bellezza” – lo ribadisco – è un gran bel film, ma ciò che non va è questo inutile tentativo di voler trasmettere a tutti i costi messaggi esistenzalisti allo spettatore. Perché filosofeggiare così tanto? A che pro? Sembra quasi che gran parte dei dialoghi sia stata presa da una raccolta di aforismi.
In molti in questa pellicola – che riporta sul grande schermo la vita mondana che si fa nei salotti buoni romani – hanno letto un omaggio a (e un sequel de) “La dolce vita” di Fellini. A me, più che altro, in un paio di passaggi questo film ha ricordato quel capolavo de “La terrazza” di Scola. Soprattutto quando il protagonista vomita in faccia a una sua amica (?) tutte le bugie che questa racconta a se stessa e agli altri e tutte le ipocrisie che dominano l’ambiente che frequentano.
Altro elemento negativo: il soffermarsi eccessivamente su scene che, anche se durassero la metà del tempo, sarebbero ugualmente comprensibili ed efficaci. Si veda, ad esempio, tutta l’introduzione, ossia la grande festa organizzata su una terrazza che si affaccia su Via Veneto. Oppure si veda il tour che Jep, la sua amica Ramona e il misterioso giovane con gli occhiali (Giorgio Pasotti) fanno di notte in un bel po’ di palazzi signorili romani.
Anche tutta la parte sulla suora anziana in odore di santità (la simil-Madre Teresa di Calcutta) a me è sembrata del tutto inutile, irrilevante, superflua. Il film sarebbe potuto terminare anche 20 minuti prima senza alcun problema di trama.
Sia come sia, la scena più divertente – perché perfidamente contemporanea – è quella in cui, dopo averci fatto sesso, la ultra-quarantenne Orietta (Isabella Ferrari) chiede a Jep se vuole vedere le foto che ha pubblicato su Faebook, quei suoi autoscatti che i suoi amici dicono siano “molto belli”.

Toni Servillo è bravo. L’abbiamo capito. Ci piace e lo stimiamo. Ma Sorrentino deve smetterla di prenderlo come protagonista. Alla lunga questo sodalizio potrebbe diventare deleterio per entrambi. Anche se, va detto, in questo caso l’eta di Jep e la faccia di Servillo combaciano alla perfezione.
Carlo Buccirosso interpreta un personaggio incredibilmente simile a quello che recitava ne “Il divo”. Lì era Cirino Pomicino, qui presta il corpo a Lello Cava: un ricco venditore di giocattoli, cinico e pessimista, che presenzia costantemente a tutti gli eventi in cui bazzica anche Jep. Dunque sembra quasi che Sorrentino stia iniziando a ripetersi.
Carlo Verdone fa tanta tenerezza e ispira infinita empatia. Il suo ruolo è quello dello sceneggiatore sfigato che non riesce ad essere se stesso, né a portare un suo copione in scena. È il migliore amico del protagonista. Lo segue ovunque in quanto lo idolatra. Particolare tanto ridicolo quanto amaro: nonostante abbia più di 50 anni, vive ancora in una stanza in affitto in una casa di studenti.
A Sabrina Ferilli hanno dato il ruolo di Ramona, la spogliarellista/marchettara figlia di un titolare di strip club (i celeberrimi night che si trovano da sempre nelle traverse di Via Veneto). Sarà forse l’unica donna per cui Jep proverà un sentimento sincero, qualcosa che, se non è amore, sembra quantomeno disinteressata amicizia.
Deliziosissima la scena in cui una specie di santone/confessore/chirurgo – straordinariamente interpretato da Massimo Popolizio – inietta botulino nelle facce dei ricconi in trepidante attesa (con il numeretto dell’eliminacode in mano).
Galatea Ranzi non è tra le mie attrici preferite. Mi è sempre stata poco simpatica, eppure devo ammettere che in questo caso è perfetta per il ruolo della sinistroide borghese, che guarda tutti dall’alto in basso perché crede di aver vissuto la sua vita seguendo altissimi ideali. Ha recitato straordinariamente. Stessa cosa dicasi per Pamela Villoresi.
Immensa stima per Serena Grandi. Nonostante in passato abbia avuto problemi con la giustizia per questioni di droga, in questo film interpreta una ex soubrette buzzicona che si è ridotta ad uscire dalle torte di compleanno e che pippa cocaina a fiumi durante i party. Verrebbe quasi da dire che fa se stessa.
Iaia Forte ha il ruolo della moglie di Lello Cava.
Lillo (di Lillo e Greg) appare in poche scene nei panni di un cattivissimo mercante d’arte che costringe una ragazzina (un astro nascente della pittura) a dipingere di malavoglia – urlando e piangendo – attraverso lo scaraventamento di lattine di vernice su una grande tela.

Domanda da ingenuo: ma quanto avrà speso la produzione per accedere e girare in così tanti palazzi e luoghi d’arte della Capitale?
Notevole la colonna sonora. I pezzi, come al solito, sono azzeccatissimi per le scene che accompagnano, persino quei due brani house tamarri – “A far l’amore” di Raffaella Carrà remixato da Bob Sinclar e “Discoteca” degli Exch Pop True – che si sentono durante le scene dei party.
Nota di marketing. Il logo Martini è un po’ ovunque durante le scene di festa. Product placement a manetta, certo. Ma sarebbe stato difficile girare la stessa scena, nello stesso luogo, senza riprendere mai la grande insegna luminosa che da decenni svetta su Via Veneto.

Un pensiero che mi gira in testa da tempo: Paolo Sorrentino è un grandissimo regista, uno dei migliori che il Cinema Italiano sia riuscito ad esprimere, è un Dio nel raccontare per immagini. Ecco. Per ottenere il massimo dovrebbe solo lasciare che siano altri ad occuparsi del soggetto e della sceneggiatura. Prenda un bel romanzo e lo porti sul grande schermo. Sono sicuro che saprà trasformarlo in un vero capolavoro.

Se siete curiosi, questa è la locandina per il mercato francese.

La scheda di IMDb.com, quella di Cinematografo.it e quella di MyMovies.it.

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